Siamo arrivati al termine di questa lunga settimana di Sanremo 2015. Senza le solite baraonde che hanno accompagnato i festival degli anni trascorsi, Carlo Conti ci ha guidato attraverso una kermesse musicale fatta vera protagonista dello spettacolo. Nessuna dietrologia, politica o di gossip che fosse, ha potuto macchiare il festival dagli ascolti migliori negli ultimi dieci anni, evidentemente premiato per la linearità del progetto e per la indubbia competitività di molti brani in gara.
Il 43% di share medio, arrivato anche oltre le prospettive che noi di LaCOOLtura avevamo individuato a inizio festival, è indicativo del grado di apprezzamento da parte del pubblico per un progetto così architettato. Apprezzamento da cui non si esimono neppure i giornali, che hanno individuato in Sanremo 2015, a ragione, un ritorno ad equilibri sociali a cui non eravamo più abituati fin da prima dell’ultimo governo Berlusconi, demolito, a furor di Troika, nel 2011.
Quel passaggio politico avrebbe segnato, come tutti sappiamo, ribollimenti spesso esacerbati dai media: in prima linea, in questo senso, sono stati i festival di Sanremo di Morandi e di Fazio, che avevano premiato, pur con le dovute concessioni al repertorio tradizionale (cfr. Mengoni di L’essenziale, vincitore della sessantatreesima edizione) l’ottimismo sociale di Rocco Hunt (2014), la denuncia operaia di Emma Marrone in Non è l’Inferno, (2012) e il bello e appassionato appello alla coscienza civile in Chiamami ancora amore di Roberto Vecchioni (2011).
Ad eccezione degli autobiografici Gianluca Grignani e Platinette, quest’anno non c’erano canzoni civili in gara. Sanremo 2015 è tornato ad essere il festival del grande Amore di Grazie dei fiori e di Se telefonando e più ancora di questo è stato un festival dall’offerta musicale apparentemente innovativa. Diffusa è stata l’idea che i concorrenti fossero anagraficamente giovani e perlopiù non del tutto scoperti dal pubblico più attaccato ai nazionalpopolarismi: quanti potevano dire di conoscere la carriera musicale delle pur valide Bianca Atzei e Lara Fabian?
Sanremo 2015: festival internazionale?
Proprio attorno alla convocazione di Lara Fabian si era strutturata l’ipotesi che Carlo Conti volesse aprire all’estero il nostro festival, così mediaticamente vitale al di qua delle Alpi ma ormai così estraneo alle vicende musicali globali. Lo sforzo, pur impacciato e che non ha probabilmente condotto ai risultati sperati – chi può credere alla leggenda di una Lara Fabian star internazionale? – è indicativo di una presa di coscienza della necessità di aprirsi all’esterno.
Carlo Conti ha sgomitato in questa direzione e in parte è riuscito ad ottenere ciò che voleva – pegno la triste riesumazione di Al Bano e Romina – con Conchita Wurst gli Imagine Dragons o Ed Sheeran, protagonisti – ad eccezione, per fortuna, dell’ultimo – di una pur amara terza serata che la censura sanremese ha potuto concedere.
In questo senso, allora, non può che lasciare tutti sbigottiti e sconfortati la vittoria del trio Il volo. È emblematico che uno dei due autori, Francesco Boccia, avesse incarnato in una trasmissione del 2011 lo stereotipo più sdolcinato del sanremismo, che lì era comicamente avversato da un esilarante Richard Benson.
http://youtu.be/SdlCnz0TDqo?t=5m19s
Pur rappresentando questo brano il meglio orchestrato progetto di restaurazione di una musica anti-ideologica, protagonista – come abbiamo detto – di Sanremo 2015, è oggettivamente deludente che un pezzo che suona così inutilmente pesante e dal testo così superficiale e irritante abbia vinto l’edizione di un festival che tentava, anche sgraziatamente, di importare le novità estere invece che illudersi di esportare il peggio delle pagliacciate nostrane.
La musica de Il volo attinge agli acrobatici specchietti per le allodole di un canto lirico vanitoso e malfatto di cui l’Italia proprio non riesce a fare a meno – neppure a novantun’anni dalla morte del più che compianto Puccini! – e che è tanto amato negli Stati Uniti assieme ai Sopranos, la pizza, la vespa e il mandolino: una vera iattura per la cultura italiana.
Non che il resto della kermesse avesse effettivamente qualcosa di nuovo. Sarebbe una palese forzatura indicare negli altri concorrenti una definitiva rottura con gli stilemi e le logiche della canzone sanremese, e lo dimostrano gli impacciati tentativi, fra gli altri, di Nesli e Moreno di piegarsi alla cantabilità di un ritornello che potesse essere realmente competitivo sul palco dell’Ariston.
Non si esime dalle edizioni passate questo Sanremo 2015, nell’offrire un paradigma formale tanto fuori dal tempo da farci definire questo tipo di musica proprio canzone sanremese, qualcosa che ormai non si canta più aldilà della Liguria. In questo senso, nessun tentativo di riforma è stato fatto e ogni autore che voglia vincere Sanremo deve ancora piegarsi al mantenimento dello status quo, pena l’eliminazione.
Democristianamente parlando – ciò che oggi si sta dicendo pure del governo Renzi – tutto viene fatto cambiare perché nulla cambi. In fondo è questa la verità più profonda che sta dietro allo slogan, così caro agli italiani, che Sanremo è Sanremo: lo è stato anche nel 2015.
Antonio Somma