Il concetto va nutrito di sentimento e di spirito; queste due massime verità esprimono la loro grandezza tanto nel poema quanto nel duomo. Al primo l’immagine di Dio, al secondo una sfumatura d’amore. La fanciulla e la croce, il talamo e il battesimo vibrano nelle stanze di John Donne.
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John Donne: la duplice esperienza
Siamo al tramonto della gloria elisabettiana. La stagione rinascimentale e manieristica sta cedendo il passo al sorgiva epoca barocca. John Donne ammira il progresso delle nuove scienze, ma sente viva ancora l’antica religiosità. Si trova, potremmo dire, con un piede in un giardino e l’altro in un mausoleo. Conosciuto come poeta di materia religiosa e satirica, Donne elabora un taglio di estrema originalità, un taglio capace di coniugare uomo ed eterno. Verrà accostato al Marini per l’arduo esercizio retorico; verrà elogiato dai romantici per il suono irrequieto delle rime.
La tenebra e il dettaglio
Ma la gloria del poeta si tinge di inquietudine. Non esiste verso, sia esso di matrice amorosa o sacra, che non trasudi la cupezza del tempo. Il tempo, questa entità astratta, svolge un corso insieme lineare e perturbato. Si guardi ad esempio la canzone “Sweetest love, I do not goe”:
Oh, poco potere abbiamo
se alla buona sorte non sappiamo
aggiungere nemmeno un’ora,
l’ora fuggita richiamare in vita![1]
Al di là di Eros, ecco una prova magistrale dell’attenzione che Donne pone ai dettagli che, in questo caso, sono incorporei. Il soffio dei minuti e dei secondi è stato catturato, lo si percepisce. Questa ora d’armonia è una falena. Secondo Virginia Woolf[2], Donne fu il primo scrittore inglese, dopo Chaucer, ad aver afferrato la pari importanza degli elementi intellettuali e realistici in poesia.
Dateci i nomi che volete, così ci ha fatto amore.
Ditemi mosca, di lei ditelo pure,
noi siamo anche le candele,
di noi stessi moriamo, in noi troviamo
l’aquila e la colomba. [3]
Eros
Il concetto di Amore che si evince dalle liriche di John Donne è quello di un amore assoluto. Non un semplice e languido slancio, ma un dolore così profondo da distruggere i confini della nazione. Nonostante questa sia una peculiarità dei letterati anglosassoni, l’universalità di Donne risiede nella violenza: egli non sparge fiori alla tomba del cuore; egli il cuore lo viviseziona e ne fa brandelli, brandelli da cui erige una cattedrale. Le liriche amorose vanno pensate come una vetrata da cui la luce tragga colore. La brutalità viene celata dal sogno e del sogno mantiene la leggerezza:
Va’, prendi una stella cadente.
Incingi una radice di mandragola.
Dimmi dove sono andati gli anni passati,
o chi fendette del diavolo il piede.
Insegnami a udire il canto delle sirene,
a tenere lontano la fitta dell’invidia,
e trova
qual è il vento
che serva a favorire un animo onesto. [4]
Miserere mei Deus
Dio ha lasciato che l’uomo evocasse altri spettri e fantasmi in suo nome. L’elemento divino si muta in presa di coscienza e la riflessione poetica verte sul fragile equilibrio del soggetto che deve saper giostrare le sue tensioni e il suo essere terra. Ancora, seppur in ambino sacro, tornano le difficili associazioni, un lessico di preziosa tenebra e un fresco suono notturno.
Non osavo guardare il cielo ieri, e oggi
con preghiere e con parole sensuali
corteggio Dio e domani sarò scosso
dai temiti della paura delle sua ira.
(…)
Ma qui per me i giorni migliori
sono quando tremo di paura. [5]
E il tremito si traduce in un balzo. Dal cielo alla prigione, a guidare l’operato di John Donne si trova il fuoco d’un attimo e un attimo di fuoco.
Silvia Tortiglione
[1] John Donne, Raccola poesie sacre e profane;Song; trad. di Rosa Tavelli
[2] Virginia Woolf; The Poetry of John Donne, in Spectatorial Essays, Londra 1964
[3] John Donne, Raccolta poesie sacre e profane;The Canonization;trad. di Rosa Tavelli
[4] John Donne, Raccolta poesie sacre e profane; Song trad. di Rosa Tavelli
[5] John Donne; Holy Sonnets XIX; trad. Rosa tavelli