Cosa succede se tre famosi chitarristi appartenenti a tre generazioni diverse, nati e cresciuti in paesi diversi e, soprattutto, con approcci verso lo strumento totalmente differenti si incontrano per discutere del loro rapporto con la chitarra elettrica? «Probabilmente finisce a botte» per dirla alla Jack White, o, più semplicemente, se ne ricava uno dei film-documentario più interessanti degli ultimi anni: It might get loud (Sony Picture Classics, 2009). Ebbene sì: magari ve lo siete persi (in Italia non è stato pubblicizzato benissimo), ma il fatidico incontro è in effetti avvenuto ed è stato magistralmente ripreso dalla sapiente macchina da presa di Davis Guggenheim. Protagonisti della pellicola, oltre al già citato leader dei White Stripes, sono The Edge, storico chitarrista della band irlandese U2, e la leggenda del rock Jimmy Page, fondatore dei Led Zeppelin.
It might get loud, più che un semplice documentario
Il termine documentario non deve però trarre in inganno: Guggenheim non si limitata a riprendere queste tre leggende intente a discutere e strimpellare indisturbati, ma insegue i protagonisti di It might get loud nei luoghi più importanti della loro carriera e della loro adolescenza creando così un lucido affresco di quella che è stata l’evoluzione della chitarra − e di conseguenza di tutta la musica Rock − nell’ultimo secolo. L’Inghilterra in piena rivoluzione (più morale che economica) dopo le fatiche della seconda guerra mondiale, l’Irlanda economicamente disagiata degli anni ’70 e una Detroit sempre più preda di immigrati di fine secolo diventano lo scenario in cui, attraverso edifici ed oggetti di culto, la gloriosa storia della musica contemporanea prende vita.
Tre leggende, tre storie, sei corde
Così Jimmy Page, tornato nella casa di campagna in cui fu registrato Led Zeppelin IV, racconta del suo primo incontro con la chitarra, delle band skiffle a cui si ispirava, delle prime esperienze come chitarrista-turnista e dell’approdo alla musica rock con gli Yardbird, fino alla definitiva consacrazione con gli Zeppelin; The Edge (sua è l’espressione ‘It might get loud’ da cui prende nome il film) ci mostra i luoghi della grigia Dublino in cui, con i futuri membri degli U2, si esercitava e come l’esplosione del Punk l’avesse spinto a suonare la chitarra e Jack White, seduto in una vecchia soffitta nel Tennessee − spalleggiato ironicamente dal suo alter ego di nove anni − descrive la sua difficile adolescenza nel quartiere messicano di Detroit, l’esperienza come tappezziere e la profonda influenza che il blues ha avuto sul suo modo di suonare la chitarra.
Ma It might get loud non è solo storia e a fare da cornice alle immagini della loro formazione sono proprio i tre musicisti, riuniti per l’occasione in uno studio in cui, tra scambi di Riff e brevi dimostrazioni, l’effetto che le diverse diverse esperienze hanno avuto sul loro stile diviene evidente: l’eclettismo e la sperimentazione di Page, lo studio del suono quasi maniacale di The Edge e l’improvvisazione di Jack White. Il film termina con l’immancabile collaborazione, rigorosamente acustica, tra i tre che si cimentano in una stupenda cover di The Wight, storico brano dei The Band.
It might get loud è un documentario che farà la gioa degli amanti delle sei corde e che, ne siamo certi, farà parte della collezione di tutti gli appassionati di musica rock.
Juri Accardo