Classe ’74, Los Angeles, Leonardo DiCaprio è un attore. Un attore con l’iniziale maiuscola, s’intende, e volendo anche miniata in oro e argento: è uno dei più grandi della sua generazione, e se qualcuno ha da ridire sul suo modo di recitare (ha uno stile molto americano, evidentemente), non potrà obiettare sul suo ruolo di icona del panorama stellato dei film ad alto budget, buona se non ottima resa finale, incassi considerevoli.
Titanic e gli anni ‘90
Chi l’avrebbe mai detto: un ragazzino biondo, dai tratti perfino femminei, un giorno si sarebbe trasformato in un quarantenne dalla fronte ampia e dall’espressività versatile che ieri ha fatto correre al cinema folle di spettatori per guardare una nuova (e scadente) trasposizione de “Il Grande Gatsby” (Baz Luhrmann – 2013) pur non avendo magari mai sentito nominare Scott Fitzgerald; che oggi fa strappare i capelli a fan su fan per lo sdegno verso l’Academy che questo Oscar proprio non glielo concede; e chissà cosa potrà fare un domani. Gli si auguri una felice carriera, perché se lo merita.
Ma prima che succedesse tutto ciò, Leonardo DiCaprio fu, tra l’altro, il poeta Arthur Rimbaud in “Poeti dall’Inferno” (Agnieszka Holland – 1995), Romeo nell’atroce “Romeo + Giulietta di William Shakespeare” (Baz Luhrmann – 1996) e, non ce ne dimenticheremo mai, il bel faccino di “Titanic” (James Cameron – 1997), Jack, accanto ad una giovanissima Kate Winslet che diventerà sua grande amica.
Sì, non c’è dubbio che Leonardo DiCaprio fosse un nome caldo anche all’epoca, ma più per le sua qualità di calamita della ragazzina media che per capacità riconosciute. Benché un talento in embrione fosse evidente, avrebbe potuto andar perduto o estinguersi con la facilità di un fiammifero se non fosse stato accompagnato dall’oculatezza intelligente che l’attore dimostrò poi nello scegliere i ruoli da interpretare; se non fosse stato per la continua ricerca, anche attuale, di un miglioramento derivante dal ruolo sempre diverso, dalla novità intesa come sfida; e se non fosse stato per… be’ per Martin Scorsese.
Leonardo DiCaprio & Martin Scorsese
“Gangs of New York” (2002) è il primo film che Martin Scorsese gira arruolando nel cast il non più ragazzino Leonardo DiCaprio, e finalmente quel bel visetto d’angelo viene sporcato per davvero. Accanto ad un Daniel Day-Lewis straordinario come sempre e alla “ben sfruttata” Cameron Diaz, il piccolo Leo entra nel mondo degli adulti, del fango e della violenza edulcorati molto poco.
L’esperienza non finisce là, e nel 2004 esce “The Aviator”, pellicola di grande successo che dipinge accuratamente la storia vera di Howard Huges, intrecciando carriera registica e ossessione in modo talmente abile da rendere quest’interdipendenza fondante, quasi uno scheletro portante del personaggio. Huges è proprio DiCaprio, il quale si discosta dal personaggio di Amsterdam Vallon (di “Gangs of New York”) in modo quasi brutale e assolutamente plateale, ma con la serena scioltezza che dimostrerà sempre di lì in avanti.
Altro personaggio memorabile: Billy Costigan (“The Departed” – 2006), contrapposto al Colin Sullivan di Matt Damon e dotato di una profondità quasi devastante. Leonardo DiCaprio ormai, a questo punto della sua carriera, è apprezzato per i suoi ruoli oscuri ed effettivamente sempre più complessi, difficilmente districabili data la loro psicologia singolare e il background difficile che li caratterizza. E DiCaprio ne mantiene l’espressione corrucciata tipica nell’interpretare Teddy Daniels (“Shutter Island” – 2010).
La magia di Scorsese: trarre dallo stesso essere umano due interpretazioni di levatura abbagliante e dalle caratteristiche lontane tra loro migliaia di chilometri. E infatti, se Teddy Daniels era testardo, intelligente e figlio di un passato che sarà la soluzione dell’intero film e lo stravolgimento completo della visione che si ha di questo investigatore, al contrario Jordan Belfort (“The Wolf of Wall Street” – 2013) è semplicemente il figlio del capitalismo che ha imparato da bravi insegnanti e che li ha poi superati di corsa, con un sorriso beffardo e allegra amnesia totale di quelle poche tracce di moralità che forse aveva dimostrato in giovinezza.
Altri tre ruoli “fighi”
È di nuovo insieme a Kate Winslet che Leonardo DiCaprio ci regala il primo dei tre ruoli qui scelti a concludere l’articolo. Parliamo dei coniugi Wheeler, protagonisti di “Revolutionary Road” (Sam Mandes – 2008) e umanissimi avventurieri attraverso la vita ordinaria, avvelenati dall’opacità del quotidiano e condotti con una delicatezza rara lungo un davvero triste percorso matrimoniale. DiCaprio è un uomo che finge con la moglie e con se stesso senza esserne consapevole, stupito di non aver trovato l’ideale di vita realizzata proprio lì dove si aspettava che fosse, e patetico nei suoi tentativi di uscirne: quasi doloroso da seguire fino alla fine.
Non potremmo non citare il citatissimo “Inception” (Christopher Nolan – 2010), blockbuster di un regista decisamente chiacchierato, nel bene e nel male, che ha riunito nel cast numerose di quelle che erano state definite giovani promesse e che oggi si può dire siano promesse mantenute. Al centro spicca Leonardo DiCaprio, forse in un’interpretazione meno interessante perché dal processo evolutivo più semplice… ma al fianco di Marion Cotillard la sua figura si fa elegante e, pur nel suo coraggio, sofferente.
Infine, ricordiamolo nella sua espressione più affabile che scopre una dentatura marcia come lo è del resto tutta la sua persona: Calvin J. Candie (“Django Unchained” di Quentin Tarantino – 2012), parossistico e fuori di testa, crudele e magnifico nella sua cieca stupidità da schiavista. Pur con le sue caratteristiche di ricco e vacuo, Candie non è il Gatsby o il Belfort di qualche anno dopo, ma è una figura ben più inquietante da cui ci si potrebbe aspettare di tutto. Un po’ come il talento dello stesso DiCaprio.
Chiara Orefice
Fonti: Sito ufficiale; IMDb; Sito italiano