Questa frase viene pronunciata da John Ford negli anni Cinquanta, dopo aver vinto già ben quattro premi Oscar (Il traditore, Com’era verde la mia valle, Furore, Un uomo tranquillo), all’assemblea della Directors Guild indetta da Cecil B. De Mille con l’intento di far dimettere Joseph L. Mankiewicz perché avevano il sospetto che quest’ultimo avesse simpatie comuniste. L’assemblea durò molto e alla fine si alza una mano:
«Mi chiamo John Ford; faccio western. Credo che non ci sia nessuno in questa stanza che sappia meglio di Cecil B. De Mille quello che il pubblico americano vuole, e che sappia accontentarlo meglio. Ma tu non mi piaci, C.B. e non mi piace nulla di quello che hai detto stasera. Perciò propongo che rinnoviamo il nostro voto di fiducia a Joe e che ce ne andiamo finalmente tutti a casa a dormire.»
Questa frase diventerà poi celebre e essa contiene in essenza ben due elementi significativi: Ford innanzitutto ci ricorda che un regista hollywoodiano è un mestierante, è parte di un sistema che gli assegna compiti ben precisi e, inoltre, riassume brevemente il suo percorso stilistico che trova nelle strutture e nello schema narrativo del western la sua dimensione più significativa.
John Ford ha diretto circa centoquaranta film ed è stato attivo fin dagli anni del cinema muto. È sicuramente uno dei più grandi registi della storia del cinema e autori come Kurosawa, Scorsese, Peckinpah, Bogdanovich, Leone, Eastwood, W. Wenders e Truffaut hanno ammesso la notevole influenza che i film di Ford hanno avuto su di loro e sulle loro opere.
Ford non amava parlare delle sue origini e buona parte dei suoi primi film sono sconosciuti. La Fox (la casa di produzione per cui Ford ha girato la maggior parte dei suoi film muti), poi, ha sostenuto che moltissimi film vecchi sono andati perduti in una serie di incendi.
Sicuramente, prima di diventare regista, Ford ha ricoperto diversi ruoli: trovarobe, assistente alla regia, comparsa e controfigura del fratello attore. Ma l’episodio che sicuramente lo ha più arricchito è quello della partecipazione, nel 1915, al film Nascita di una nazione (The Birth of a Nation) di Griffith.
«Griffith io lo conoscevo, ma non intimamente. All’epoca ero appena un ragazzo e soltanto un suo grande ammiratore. Eppure lui era molto affabile con me. Mi dava pacche sulla schiena. Quando fui licenziato dalla Universal, dove facevo il secondo aiuto-trovarobe, mi trovò una parte tra gli uomini del Ku Klux Klan in The Birth of a Nation […] Sì, posso dire che eravamo amici. E quando invecchiò, lo diventammo ancora di più»
– John Ford
John Ford e il western
Definito da Bazin come «il cinema americano per eccellenza» il western nasce con la stessa storia del cinema statunitense. Si può tranquillamente affermare che le origini del western coincidano con quelle del cinema narrativo.
Da La grande rapina al treno (The great train robbery, 1903- Porter) ai western di Griffith (The massacre -1912) il genere sostiene le istanze di un nuovo linguaggio narrativo basato sul montaggio e sulla progressiva affermazione di un découpage che va verso la continuità e all’affermazione di stereotipi e motivi narrativi (la ferrovia, lo scontro tra buoni e cattivi).
Negli anni Venti il genere conosce un incremento produttivo e Il cavallo d’acciaio (The iron horse, 1924) sarà la prima opera di rilievo di Ford.
Nel 1929 realizza Ombre rosse (Stagecoach) e viene subito accolto come un capolavoro. Il film, racconta la storia emblematica del viaggio di una diligenza minacciata dagli indiani, nell’altrettanto emblematico e coinvolgente sfondo della Monument Valley (che da qui in poi diventerà ricorrente nei suoi film). La diligenza è espressione dei valori della civiltà ed entra subito in contrasto con lo stato di natura, libero e selvaggio che viene rappresentato dagli indiani.
Con i lavori successivi di Ford, tra cui Sfida infernale (My Darling Clementine– 1946), Il massacro di Fort Apache (Fort Apache – 1948), Rio Grande (1950), fino a Sentieri Selvaggi (The Searchers – 1956) o ai western crepuscolari come L’uomo che uccise Liberty Valance (The man who shot Liberty Valance – 1962), Ombre rosse contribuisce alla creazione della grande epopea della conquista di spazi vitali; della creazione di uno stato di benessere basato sulla legalità, la lealtà, l’onore dell’individuo e della comunità.
Lo stile di Ford è semplice e rigoroso, fatto di campi lunghi e lunghissimi che mettono in risalto il paesaggio; la profondità di campo, poi, esprime la coesione tra uomo e ambiente.
Questo particolare stile di regia gli consente di abbracciare delle tematiche che fanno riflettere sul rapporto tra individuo e comunità, tra uomo e natura. È in questo senso che Ford, un regista che è stato al servizio dell’industria, diventa un autore capace di esprimere attraverso il cinema una propria poetica.
https://vimeo.com/121582645
«A pensarci è straordinario: Ford ha virtualmente fatto la cronaca di tutta la storia del popolo americano.»
Cira Pinto