Gli anni ’70 sono consacrati come gli anni del progressive. Le band del periodo erano perlopiù caratterizzate dal tentativo ossessivo di elevare il rock al rango di opera d’arte. Alcuni gruppi, i “classici” del prog, lo fecero accostando il rock alla musica classica, mettendo al centro elementi sinfonici, ed erano, quindi, caratterizzati da una sorta di antidivismo. Altre band, invece, pur dedicandosi alla sperimentazione musicale, diedero grossa importanza all’immagine, rappresentando il lato glamour del rock: si tratta, ad esempio, del caso dei Queen.
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Il Glam rock
Da sempre il rock è stato il terreno della trasgressione. Songwriter come Jim Morrison hanno fatto la storia inserendo nelle loro lyrics riferimenti a rapporti incestuosi. Con il prog la situazione si era azzerata: il registro si era fatto più elevato, e, non a caso, molti critici hanno parlato di tradimento dell’essenza del rock.
Le band glam rock alzano l’asticella della trasgressione, puntando su un aspetto sessualmente ambiguo. Artisti come David Bowie hanno costruito intere carriere sulla propria immagine (aldilà degli indubbi talenti musicali). Soprattutto nel caso di Bowie il legame fra immagine e musica è indissolubile, come già abbiamo visto in un precedente articolo. L’altro importante polo del glam rock è invece rappresentato dai Queen.
I Queen: glamour e rock
I Queen sono una band atipica dello scenario rock. La critica non li ha mai amati, non riscontrando alcuna velleità artistica nella loro produzione. Eppure, il loro modus operandi è molto affine a quello degli artisti progressive. La sperimentazione musicale della band consiste in una poliedricità di stili che rende i Queen difficilmente etichettabili. I confini della loro musica vanno dall’opera lirica allo speed metal, con l’unica costante rappresentata dalla voce di Freddie Mercury, il simbolo dei Queen, dall’eccezionale estensione vocale.
Il debutto discografico è rappresentato dal disco eponimo, pubblicato nel 1973, sulla cui copertina campeggia la scritta “Niente sintetizzatori“: i Queen vogliono dimostrare di essere ottimi compositori senza aver bisogno dell’elettronica. Lo scenario, nel decennio successivo, si capovolgerà. La prima hit è dell’anno successivo, Killer Queen: nel video della canzone le movenze femminili e la pelliccia indossate da Freddie rendono i Queen perfetti interpreti dello stile glam.
Raggiungono il loro apice, oltre che la popolarità, con A Night At The Opera, del 1975, dal titolo altamente evocativo. Si tratta dell’album che contiene “Bohemian Rhapsody”, singolo considerato da molti la più grande canzone di ogni tempo.
L’elevata lunghezza − circa sei minuti − oltre che la particolare struttura, priva di ritornello, fece sì che l’etichetta discografica dei Queen non avesse intenzione di lanciarla come singolo. La band si impuntò, e fece bene: “Bohemian Rhapsody” fu un successone, e per i Queen si aprirono le strade della gloria.
L’abbandono delle radici Glam
Arriva il 1977, l’anno della rivoluzione Punk, e per tutto il filone progressive è la fine: solo le band che riescono a reinventarsi possono sopravvivere. I Queen, da sempre camaleontici, abbandonano le loro radici glam e progressive, lanciandosi nel rock duro.
Sono proprio di quell’anno due fra i singoli più famosi dei Queen, “We are the Champions” e “We Will Rock You“, che dimostrano la vitalità della band britannica.
Vitalità che, di lì a poco, incomincia a stentare. I Queen espugnano gli States con un tour trionfale, ma i loro album successivi vedono una decisa involuzione creativa.
Il 1980 vede il definitivo tradimento della musica dei primi anni. I Queen sposano lo spirito degli anni ’80, caratterizzato dall’uso massiccio di musica elettronica, quella stessa musica che avevano rinnegato col loro primo album. “Another One Bites the Dust”, il primo singolo della nuova era, rimane ad ora il loro più grande successo commerciale negli States.
La loro carriera continua a suon di grosse vendite corrispondenti ad una parabola discendente dal punto di vista qualitativo. A questo si aggiungono anche alcune tensioni interne che si risolvono solamente verso la metà degli anni ’80.
Già band di enorme popolarità, i Queen assurgono al rango di leggenda con la storica partecipazione al Live Aid del 1985, che diede una seconda giovinezza ai Queen. All’evento segue subito l’incisione della colonna sonora del film Highlander, A Kind of Magic, nel 1986.
Il gruppo di Freddie Mercury diventa una perfetta live band, replicando il successo del Live Aid con un doppio concerto a Wembley nell’86. Il Magic Tour sarà, però, l’ultima serie di concerti dei Queen.
La morte di Freddie
Freddie Mercury si ammala di AIDS, e le presenze dei Queen in giro per il mondo si fanno sempre più sporadiche. Le vette artistiche del periodo glam sono irraggiungibili, e gli anni ’80 proseguono con nuove pubblicazioni altalenanti, che alternano ottimi singoli a riempitivi scialbi e poco originali.
Il canto del cigno si chiama Innuendo, l’album pubblicato nel 1991: è una sorta di ritorno al passato, essendo recuperate le tendenze progressive dei primi anni. Freddie utilizza tutte le sue energie per lasciare un testamento ai posteri, un testamento decisamente diverso dal pop pomposo degli anni ’80. La title track rappresenta una versione aggiornata di “Bohemian Rhapsody”, caratterizzata, però, da un senso di malinconia dato dalla situazione precaria della salute di Freddie.
Freddie morirà nello stesso anno, a soli 45 anni, mettendo fine all’epopea dei Queen, che hanno continuato ad andare in tour e a produrre nuovi album negli anni successivi, ma la carriera della “Regina” si chiude, dal punto di vista artistico, nel 1991.
Davide Esposito
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Sitografia
- Sito ufficiale: http://www.queenonline.com/