Ritorniamo questa settimana a parlare della ricco periodo medievale napoletano reimmergendoci nel tempo di dominazione angioina e delle sue importanti testimonianze artistiche; nel particolare parliamo nuovamente della Basilica di Santa Chiara e della tomba monumentale di Roberto d’Angiò, simbolo di prestigio dinastico e artistico.
Roberto d’Angiò ed il suo testamento
Roberto morì nel gennaio del 1343 lasciando di fatto vacante la guida del Regno in quanto il figlio Carlo era morto nel 1328; così, in base alla successione per discendenza diretta, il diritto di governare toccò alla nipote di Roberto, figlia di Carlo, Giovanna I. Fu quindi lei, dopo la dipartita del nonno, a gestire la complicata questione della sua sepoltura.
In un primo testamento, redatto anni prima della morte, il Re chiese esplicitamente al Papa di poter essere seppellito in tre luoghi diversi (dividendo il suo corpo in tre parti diverse solo dopo lo smembramento naturale) senza che essi fossero in quel testo specificati.
Alla vigilia di quei giorni di gennaio del 1343 Roberto d’Angiò, però, redasse un nuovo testamento dove cambiò le sue volontà, affermando di voler essere lasciato riposare eternamente in Santa Chiara; il perché di questa nuova richiesta non è esplicitato, ma tutto ciò ribadisce il fatto che la dinastia angioina fosse legata alla chiesa del complesso delle clarisse. Ciononostante questo attaccamento non presuppone il progetto di far diventare la Basilica un pantheon della casata, come molte volte erroneamente si sostiene.
Gli autori
In diversi altri documenti, provenienti dagli archivi della Cancelleria Angioina e andati per la gran parte distrutti durante la seconda guerra mondiale, viene segnalato varie volte il nome di due fratelli fiorentini; si tratta di Pacio e Giovanni Bertini, marmorarii fratres, che Giovanna assoldò per rendere degna memoria di re Roberto, autori del sepolcro tra il 1343 e il 1346, che tutt’oggi troviamo addossato alla parete di fondo di Santa Chiara.
Di altezza notevole confrontandola con gli stessi tipi a baldacchino dell’epoca, non è chiaro se la tomba fosse stata sin dall’inizio pensata per essere posizionata lì dov’è ora, visto che sarebbe poi andata ad obliterare l’enorme finestra rinvenuta solo dopo il bombardamento dell’agosto 1943, allorché ordigni incendiari distrussero la Chiesa e gran parte del sepolcro stesso; ma notizie certe non ne abbiamo e, data la sua altezza, unico posto plausibile adatto ad accoglierla era proprio la parete di fondo.
Il sepolcro
Ormai mozzato della cuspide che lo terminava, il monumento è alto più di 15 metri e rispecchia il modello a baldacchino con raffigurazioni di personaggi reali (il Re, i suoi familiari e la sua cerchia), della sfera religiosa (uomini di chiesa, santi, angeli…) con le classiche virtù a fungere sostegno della cassa mortuaria vera e propria. È così che, partendo dal basso, incontriamo tre personaggi femminili addossati ai due pilastri, esse raffigurano le virtù teologali e quelle cardinali.
Al di sopra delle colonne giungiamo alla cassa sulla quale è raffigurato, per la prima delle quattro volte, Roberto d’Angiò al centro con ai lati le due mogli (Violante e Sancia), Maria di Valois, Carlo di Calabria e Giovanna I.
Al di sopra del sarcofago si apre la seconda scena con il Re, ormai defunto, che giace in saio francescano attorniato da piccole figure sullo sfondo quasi a vegliarlo; esse sono le Arti liberali del Trivio e del Quadrivio tra le quali riconosciamo la Retorica, la Grammatica, la Dialettica, la Geometria, l’Astronomia, la Musica e l’Aritmetica. A permettere che lo spettatore possa vedere la scena funebre ci sono due angeli che, a destra e sinistra, tengono aperte due spesse cortine.
Il terzo livello ci sembra essere un’edicola votiva dove compare nuovamente la figura di Roberto d’Angiò, stavolta assiso in trono con sullo sfondo quei gigli che sono il simbolo della casata francese; al di sotto della figura reale troviamo inciso il ricordo che l’amico Francesco Petrarca volle lasciare per Roberto: “CERNITE ROBERTUM REGEM VIRTUTE REFERTUM” (“Guardate il re Roberto pieno di virtù”). Sullo sfondo del trono rimangono, seppur frammentarie, ancora tracce di pitture non ben identificate per la forza distruttrice del tragico bombardamento.
È proprio a causa di ciò che solo da foto precedenti gli anni ’40, si è riusciti a sapere che il monumento avesse un quarto ed ultimo livello che termina il grandioso programma politico e religioso angioino; si trattava di un tabernacolo che vedeva raffigurato in esso la Madonna in trono con il Bambino con ai lati San Francesco e Santa Chiara che presentano alla Vergine i Roberto e Sancia.
Tutto il sepolcro doveva apparirci colorato, a tratti sfarzoso, tra gli affreschi che gli facevano da sfondo, con il blu ed oro degli stemmi angioini, gli innesti dei marmi colorati e le dipinture delle statuette che lo adornavano.
Liberato Schettino