È il 13 agosto del 1945 quando George Orwell termina Animal farm, edito in Italia con il titolo La fattoria degli animali. Ci troviamo a pochi mesi dalla sconfitta della Germania nazista da parte degli Alleati, in un momento in cui l’alleanza tra l’Inghilterra e l’Unione Sovietica nel corso del conflitto mondiale rende impensabile anche solo l’idea di pubblicare un’opera polemica il cui bersaglio principale è proprio la potenza guidata da Stalin.
Orwell sarà quindi costretto ad aspettare il 1947 per veder pubblicato Animal Farm. La scelta dell’anno non è casuale: proprio in quel periodo si stava infatti facendo largo l’idea di cortina di ferro teorizzata da Winston Churchill, volta a dividere l’Europa occidentale a guida statunitense da quella orientale posta sotto il controllo dell’URSS.
Indice dell'articolo
Storia di una rivoluzione fallita
“Un’altra cosa: la favola sarebbe meno offensiva se la casta protagonista non fosse quella dei maiali”.
(George Orwell – La libertà di stampa)
Fulcro di Animal Farm è la rivolta che gli animali di una fattoria, stanchi delle vessazioni che ricevono dal loro padrone (il signor Jones), attuano in nome di una società migliore ed egualitaria. La società nata dalla rivoluzione si baserà sui principi dell’animalismo, dottrina secondo cui ognuno lavorerà secondo le proprie capacità ed otterrà ciò di cui necessità in base ai propri bisogni. Vengono così stipulati dei veri e propri comandamenti che l’intera comunità animale sarà chiamata a rispettare:
1. Tutto ciò che va su due gambe è nemico
2. Tutto ciò che va su quattro gambe o possiede ali è amico
3. Nessun animale indosserà vestiti
4. Nessun animale dormirà in un letto
5. Nessun animale berrà alcolici
6. Nessun animale ucciderà un altro animale
7. Tutti gli animali sono uguali
La fattoria si trasforma in un modello in cui si rispecchia la speranza utopica del comunismo di una società uguale per tutti e senza alcuna distinzione di classe.
Tuttavia le cose non andranno davvero così poichè in Animal Farm il potere si concentrerà effettivamente nelle mani dei soli maiali il cui rappresentante più ambizioso, Napoleon, instaurerà una vera e propria dittatura sull’intera fattoria giungendo addirittura alla riappacificazione con il padrone precedentemente esiliato.
Il bestiario di Animal Farm
All’inizio si è accennato a come Orwell riproponga in Animal Farm personaggi ed episodi della Rivoluzione russa del 1917 e dei suoi sviluppi successivi. Si è anche detto di come Orwell guardò con amarezza alla svolta dittatoriale che l’URSS aveva intrapreso con Stalin. Tuttavia, per cercare di non creare sospetti, decise di elaborare la sua satira attraverso il mezzo della favola.
Leggendo Animal Farm notiamo che, in effetti, ci troviamo davanti ad una favola vera e propria. I protagonisti sono animali che rappresentano vizi e virtù umane ed anche qui è presente una morale.
L’unica differenza che distanzia la favola di Orwell da quella classica è il fatto che questi animali sono trasfigurazioni di personaggi e simboli reali, tutti appartenenti alla parabola del comunismo.
Partiamo dai leader della rivoluzione, i maiali. Il primo di cui facciamo conoscenza è il Vecchio Maggiore, un suino anziano che tiene un’assemblea in cui esorta tutti i suoi compagni animali a ribellarsi all’autorità del fattore Jones (richiamo al potere zarista). In particolare il Vecchio Maggiore mostra come l’uomo/padrone si appropri del prodotto del lavoro compiuto dall’animale/operaio. Il richiamo è alle teorie di Marx e ai discorsi di Lenin, espressione di un comunismo puro.
“Per quale motivo continuiamo dunque a vivere in tanta miseria? Perché il frutto del nostro lavoro ci viene quasi interamente sottratto dagli esseri umani. Questa compagni è la causa di tutti i nostri problemi. Si può riassumerla in una sola parola: l’uomo (…) L’uomo è l’unica creatura che consumi senza produrre. Non dà latte, non depone uova, è troppo debole per tirare l’aratro, non corre abbastanza veloce da catturare un coniglio. Però è padrone di tutti gli animali. Li fa lavorare e in cambio concede loro il minimo necessario alla sussistenza, tenendo il resto per sé. Il nostro lavoro dissoda la terra, il nostro escremento la fertilizza, tuttavia non c’è fra noi chi possegga altro che la nuda pelle”.
Una volta portata a termine la Rivoluzione, continuatori di tale messaggio diventano Palla di neve e Napoleon, i quali prendono il potere. Essi sono due figure totalmente in disaccordo tra loro: il primo rappresenta l’uomo che rimane fedele ai principi della Rivoluzione e che cerca in ogni modo di concretizzarli. Il secondo invece rappresenta la sua svolta autoritaria, la sua inevitabile trasformazione in dittatura.
Nella realtà Palla di neve richiama Lev Trozkj, portavoce dell’idea di trapiantare la rivoluzione in altri paesi. Napoleon è invece Iosif Stalin, rappresentante del “comunismo in un solo paese” e della sua fase autoritaria.
“Secondo Napoleon, ciò che gli animali dovevano fare era procurarsi armi da fuoco e addestrarsi al loro uso. Palla di neve era invece del parere che si dovessero spedire stormi e stormi di piccioni a suscitare la Rivoluzione fra gli animali delle altre fattorie. L’uno argomentava che se non avessero saputo difendersi da soli erano destinati a esser vinti; l’altro ragionava che, se la rivoluzione fosse scoppiata dappertutto, essi non avrebbero avuto bisogno di difendersi”.
Dopo aver scacciato il suo rivale, Napoleon prende il controllo della fattoria e assume dei veri e propri atteggiamenti dispotici. Fa uccidere animali innocenti, aumenta il carico del lavoro e giustifica tutte le sue malefatte adducendone ad obiettivo il “bene della rivoluzione”. Delle sue menzogne si fa portavoce un altro maiale, Clarinetto, emblema della propaganda che usa le proprie armi retoriche per ingannare gli altri animali. Ecco un esempio:
“Allora, compagni, avete udito che noi maiali dormiamo ora nei letti della casa colonica? E perché no? Non supporrete mai che ci fu regolamento contro i letti! (…) Il regolamento era contro le lenzuola che sono un’invenzione umana. Noi abbiamo tolto le lenzuola dai letti e dormiamo fra le coperte. E che letti comodi sono! Ma non più comodi di quanto faccia a noi bisogno, ve lo posso assicurare, compagni, con tutto il lavoro di cervello che ci tocca ora fare (…) Non vorrete che noi ci sentiamo troppo stanchi per fare il nostro dovere! Certo nessuno di voi desidera il ritorno del signor Jones!”
Orwell dà una grande importanza alla propaganda. Essa non solo consentirà a Napoleon di costruire il proprio culto della personalità (richiamo ancora più esplicito dei precedenti a Stalin), ma gli permetterà anche di tenere a bada gli animali che accetteranno le sue disposizioni senza discutere. La massa non può che essere rappresentata dalle pecore, emblema degli individui che non ragionano con la propria testa e che seguono ciecamente i precetti altrui. Nell’intero Animal Farm esse sapranno infatti pronunciare soltanto una frase:
“Quattro gambe buono. Due gambe cattivo!”
Ma la figura più interessante di Animal Farm resta senza dubbio sicuramente quella di Boxer (Gondrano nella traduzione italiana), un cavallo mai stanco del proprio lavoro e continuamente indaffarato, pronto a sopportare le fatiche più grandi pur di contriubire al benesssere della comunità. Egli rappresenta quella parte della massa fedele ai principi della Rivoluzione e disposta a sacrificare ogni cosa per garantirne il successo.
L’autorità non sembra però disposta a riconoscerne gli sforzi, liberandosene quando cessa di essere utile: Boxer, stanco ed infortunato, verrà infatti mandato al macello dallo stesso Napoleon a cui tanto fedelmente aveva obbedito.
Animal farm: dal maiale all’uomo
L’ultimo capitolo di Animal Farm rappresenta la piena concretizzazione del fallimento dei principi rivoluzionari. L’animalismo è oramai un’utopia morta e i maiali, divenuti a tutti gli effetti padroni degli altri animali, arrivano addirittura a negoziare con gli uomini che tanto avevano disprezzato e ad assumerne le caratteristiche.
“Un maiale stava camminando sulle gambe posteriori. Si, era Clarinetto. Un po’ goffamente, (…) ma con perfetto equilibrio, passeggiava su e giù per il cortile. Poco dopo, dalla porta della casa colonica uscì una lunga schiera di maiali: tutti camminavano sulle gambe posteriori. (…) Infine, tra un tremendo latrar di cani e l’alto cantar del gallo nero, uscì lo stesso Napoleon, maestosamente ritto, gettando alteri sguardi all’ingiro, coi cani che gli saltavano attorno.
Stringeva fra le zampe una frusta”.
Come ogni favola che si rispetti, anche Animal Farm possiede una morale. Qualunque rivoluzione che si promette di cancellare una tirannia, inevitabilmente arriverà ad assumerne i segni. E lo farà brutalmente, eliminando i personaggi scomodi che davvero credono nei principi della rivoluzione stessa (come Palla di Neve) e riscrivendo le leggi a proprio favore. Emblematica in tal senso è la riscrittura fatta dai maiali dei pilastri dell’animalismo:
1. Tutto ciò che va su due gambe è nemico a meno che non ci si possa guadagnare qualcosa
2. Tutto ciò che va su quattro gambe e possiede ali è amico
3. Nessun animale indosserà vestiti se non in occasioni speciali
4. Nessun animale dormirà in un letto con le lenzuola
5. Nessun animale berrà alcolici in quantità eccessiva
6. Nessun animale ucciderà un altro animale senza motivo
Ma su tutti spicca l’ultimo comandamento, quello che lascia gli altri animali senza alcuna speranza di riscatto, facendo trasparire tutta l’amara morale di Animal Farm.
7. Tutti gli animali sono uguali ma alcuni sono più uguali di altri.
Ciro Gianluigi Barbato
Bibliografia
G. Orwell – La fattoria degli animali – Classici moderni Modandori