Alla fine del mondo, io speriamo che me la cavo

Esilarante, comico, drammatico. Così può essere definito un noto (più nel territorio campano che altrove) film degli anni ’90 che per qualcuno rappresenta un vero e proprio caposaldo affettivo, un triste esordio della napoletanità più scarna ed una gioiosa e fanciullesca interpretazione di quest’ultima.
Il film a cui si accenna è Io speriamo che me la cavo, uscito nel 1992 e diretto da Lina Wertmüller regista e sceneggiatrice italiana.

Io speriamo che me la cavo Io speriamo che me la cavo

Io speriamo che me la cavo: tra libro e film

Il film Io speriamo che me la cavo è tratto dall’omonimo libro di Marcello D’Orta, maestro elementare e scrittore napoletano di recente scomparso. L’autore raccolse sessanta temi di bambini frequentanti una scuola arzanese, nell’area nord di Napoli, e decise di riunirli in un libro, uscito nel 1990, diventato poi un best seller grazie ai due milioni di copie vendute.

I temi presenti nel libro sono davvero opere singolari: testi scritti dalle mani di bambini che non solo analizzano le mille sfaccettature della realtà in modo personalissimo e semplicemente disarmante, con tutto ciò che comporta la semplicità, ma si trovano, quei bambini, ad osservare una realtà che è già essa stessa, nel suo essere superficiale e profondo, singolare.

Arzano tra gli anni ’80 e ’90 viene indirettamente delineata dai bambini come la personificazione del degrado, come un inferno a cielo aperto dove droga, prostituzione, miseria ed illegalità sono all’ordine del giorno.Io speriamo che me la cavo copertina

I temi che il maestro chiede di sviluppare ai bambini  sono molto semplici: da “racconta le tue vacanze ” a “descrivi la tua casa” ed è proprio  in questa semplicità che si consuma la vera tragedia che costituisce la parte fondante della vicenda rivestita da splendidi ori e stucchi che rendono il tutto paradossalmente divertente, lasciando che l’ostica lettura, costellata da errori ortografici di ogni genere, malapropismi ed ipercorrettismi, si riveli piacevole e divertente prima, amara e truce poi.

Sorprendente più di ogni altra cosa è l’estrema normalità e semplicità con la quale i bambini raccontano delle siringhe dei drogati che trovano per la via  o della propria casa sgarrupata e di come, raccontando la propria vita, riescano a mostrare una certa vis critica, infantile, ma forte.

Ancora più forte e sconcertante è la rassegnazione di alcuni che pur sognando già si vedono grandi e sommersi dai debiti. arton21274

Il film

Il film Io speriamo che me la cavo, come si è detto, nasce grazie all’omonimo libro che funge da ispirazione per la regista che sulla base dei temi letti organizza una trama (assente nel libro) dando forma ad ogni singolo bambino costruendo in ognuno una forte e differente personalità.

Protagonista insieme ai piccoli è Paolo Villaggio, nei serissimi panni di Marco Tullio Sperelli, maestro elementare erroneamente capitato a Corzano, cittadina idealmente collocata nella periferia nord di Napoli (realmente esistente ma in provincia di Brescia), dove ormai vige il degrado più assoluto ed il completo abbandono da parte dello stato e delle forze dell’ordine, dove addirittura il sindaco non si accorge che ad insaponarlo, sulla comoda ed imbottita sedia del barbiere, c’è un bambino di soli sette anni.

La scuola nella quale il maestro si ritrova ad insegnare è nell’anarchia più totale: la preside molto spesso assente lascia tutto nelle mani del custode il quale approfitta della situazione ed, oltre a non adempiere ai propri compiti, spilla soldi ai bambini in cambio di beni primari che dovrebbero essere comune dotazione statale come la carta igienica o il sapone.

Ed è dunque in questo clima che il maestro sarà costretto a lavorare, costretto a recuperare tutti i suoi alunni sottraendoli forzatamente al lavoro al quale si dedicano perché tengono la responsabilità verso la propria famiglia, riuscendo, in un modo o nell’altro, a formare per intero la 3° B della scuola elementare Edmondo De Amicis di Corzano.

Anche dal film, chiaramente, trapelano tutti gli aspetti evidenziati dai bambini nel libro: qualcuno ha ritenuto che la rappresentazione della realtà sia stata distorta perché estremamente esagerata e caricata di aspetti affatto veritieri.io speriamo che me la cavo Io speriamo che me la cavo

È chiaro che il contesto cinematografico renda tutto più confusionario e concentrato, magari confondendo lo spettatore con la molteplicità di eventi e accadimenti riassunti in un tempo breve tempo che fanno apparire la realtà più un teatrino che altro.

L’Arzano degli anni ’90 viveva seri disagi e gravi problematiche che non vanno minimamente assecondate.

Da sottolineare, per rendere ancor più l’idea di quanto sopra sostenuto, come le riprese del film siano prima state spostate da Arzano a Napoli, per questioni burocratiche, poi per la seconda volta da Napoli a Lecce ed in altre zone di Italia in quanto fu chiesto alla regista una percentuale (illegalmente).

Io speriamo che me la cavo Io speriamo che me la cavo Io speriamo che me la cavo

Piccola curiosità: il titolo del libro prima e del film poi è una citazione tratta da un tema la cui consegna chiedeva di raccontare la propria parabola preferita ed uno degli alunni decise di trattare L’Apocalisse.

Il piccolo dopo aver raccontato cosa, secondo la parabola ma a suo modo, accadrà una volta giunta la fine del mondo scriverà concludendo: “e io, speriamo che me la cavo”.

La visione del film è vivamente consigliata ma attenzione: sarà come mangiare una mela avvelenata.

Corinne Cocca