Armageddon, il mistero della battaglia finale!

Armageddon è un termine biblico entrato a far parte del linguaggio comune. Possiamo dire anzi che è stato a tal punto assimilato dalla cultura odierna, che il suo significato originario, nonché la sua provenienza biblica, sono stati praticamente dimenticati. La parola Armageddon evoca in realtà uno scenario misterioso che è stato, ed è tutt’ora, un grande rompicapo per gli appassionati del libro dell’Apocalisse.

Armageddon: tra wrestling e giudizio finale

“Armageddon” oggi è utilizzato per esprimere l’idea di un qualcosa di risolutivo, decisivo, finale, incombente e minaccioso. A questo punto il suo significato diventa una questione marginale: la forza del termine Armageddon sta proprio nel suo elevatissimo potere evocativo. Basta dire “Armageddon” ed ecco che compare l’ineluttabile, il sensazionale, il tremendo.

Così troviamo il termine Armageddon utilizzato nei modi più svariati e fantasiosi. Esso è diventato un evento di wrestling, il titolo di un film di fantascienza e implica frequentemente una catastrofe.

Armageddon

Come dicevamo, l’origine del termine Armageddon è di natura biblica. Esso compare una sola volta in tutta la Bibbia e precisamente in Apocalisse 16, 16.

E i tre spiriti radunarono i re nel luogo che in ebraico si chiama Armaghedòn. Il settimo angelo versò la sua coppa nell’aria; e dal tempio, dalla parte del trono, uscì una voce potente che diceva: «È cosa fatta!».

Il testo biblico indica con Armageddon, Ἁρμαγεδών in greco, il luogo della battaglia finale, il culmine degli eventi catastrofici che farebbero da preludio all’imminente giudizio di Dio sulla storia.

L’Apocalisse in realtà è forse uno dei libri biblici più fraintesi e mal interpretati. L’Autore dell’ultimo libro della Bibbia, infatti, non descrive lo svolgimento di nessuna battaglia finale. L’evocazione della misteriosa località di Armageddon è solo una delle innumerevoli immagini utilizzate nel libro come espedienti letterari. Lo scopo dell’Autore è quello di far salire la tensione narrativa fino al suo acme, la caduta di Babilonia.

Armageddon: Apocalisse e valle di Megiddo

L’analisi del termine conduce ad un interessante risultato. Si tratta dell’unione di due parole ebraiche har e meḡiddô, ovvero la montagna di Megiddo. L’esito della ricerca è però inconcludente: la Megiddo biblica, l’attuale Tell el-Mutesellim è semplicemente una valle su cui venne costruito un tell, ovvero una collina artificiale secondo la prassi delle città antiche. Gli sforzi per identificare la fantomatica altura sono stati immani e hanno condotto ad optare per varie soluzioni, tutte ipotetiche quanto artificiose.

Armageddon
Gli scavi archeologici a Megiddo

Conoscere lo stile narrativo dell’Autore dell’Apocalisse, nonché il suo contesto e la sua teologia, permettono di approdare alla soluzione tanto ricercata quanto evidente. L’Autore non vuole assolutamente predire alcun evento storico catastrofico, né si proietta in alcun modo oltre lo scenario del presente a lui noto, quello dell’Asia minore tra la fine del primo secolo e l’inizio del secondo.

Affannarsi in estenuanti ricerche sulla geografia della Palestina è sicuramente un’attività fruttuosa, ma priva di scopo a questo riguardo. L’Apocalisse è rivolta ai cristiani dell’Asia minore perseguitati dall’Impero Romano di Domiziano perché colpevoli di lesa maestà. Essi infatti si rifiutavano di adeguarsi alla nuova prassi che gli imperatori romani avevano astutamente adottato dalla tradizione orientale, ossia che l’imperatore dovesse essere pubblicamente adorato come una divinità. I destinatari dello scritto dell’Apocalisse, quindi, non erano sicuramente degli esperti della geografia della Palestina ed anzi, molti di loro non conoscevano neppure quei luoghi.

L’intero libro è costellato di immagini e di metafore che continuamente polemizzano contro il potere reggente dell’Impero Romano: Babilonia designa in realtà la città di Roma nell’Apocalisse.

Se molte immagini possono essere comprese, è allo stesso tempo vero che il linguaggio dell’Apocalisse è dotato di una plusvalenza semantica: sarebbe sbagliato tentare di decodificarlo, pensandolo come un codice criptato. L’Autore, infatti, ha intenzionalmente utilizzato colori intensi e scene grandiose per stimolare l’immaginazione e tentare di veicolare simbolicamente la trascendenza.

In riferimento alla battaglia finale di Armageddon, come pure per le altre immagini presenti nel testo, resta valido quanto segue. L’Apocalisse non intende mai descrivere una battaglia tra le forze del bene e quelle del male. La teologia del libro è lapalissiana: Gesù Cristo offrendo la sua vita sulla croce ha già distrutto il male una volta per tutte. Subito dopo aver evocato Armageddon in Ap 16,16, nel versetto seguente si affretta ad aggiungere: «È cosa fatta!».

È cosa fatta significa che l’esito della ‘battaglia’ è scontato perché la vittoria si è già verificata nel passato, seppur i suoi effetti non sono ancora del tutto percepibili nel tempo presente.

Armageddon, insieme alle altre immagini forti dell’Apocalisse, come stragi, oceani di sangue, mostri e sciagure varie, è stata utilizzata dall’Autore per una finalità ben precisa: agganciare lo stato d’animo dei cristiani che rischiavano di subire in ogni momento un arresto ed una condanna a morte dall’Impero Romano, per educarli al significato profondo della prova che stavano per vivere. La vittoria di Cristo su Babilonia e su ogni forma di male è assicurata, perché già avvenuta ed operante nella storia, perciò non avrebbero dovuto temere l’arroganza del potere romano: esso non avrebbe avuto l’ultima parola.

Christian Sabbatini

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Bibliografia:

M. E. Boring, Apocalisse, Claudiana, Torino (Strumenti 43 Commentari), 17-78. 210-213.

L. Koehler-W. Baumgartner, The Hebrew and Aramaic Lexicon of the Old Testament, Brill, Boston 2001, 543. 876.

C. Rusconi, Vocabolario del greco del nuovo testamento, EDB,  Bologna 20133, 56.

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