Si è davvero disposti ad accettare regole e restrizioni sociali per il vivere comune?
Parole che insieme suonano ipocrite e tristemente divertenti: si è sempre costretti ai finti sorrisi, alle false approvazioni ed ai fasulli consensi.
Costretti sempre a complicare la semplicità, ad escogitare modi e maniere per apparire cortesi e garbati, carini e socialmente attraenti, simpatici ed intelligenti.
Non è forse questa la forma di follia più grande?
La forma di costrizione più assurda?
La forma più paradossale di imprigionare la libertà?
Più spontanea e geniale la pazzia, tema marginalmente trattato nella cinematografia, sopratutto italiana.
Si può fare, film del 2008 diretto da Giulio Manfredonia e scritto da Fabio Bonifacci sceneggiatore e regista italiano, racconta di una delle facce della pazzia in maniera sicuramente più pragmatica e concreta delle considerazioni di cui sopra.
Un lavoro veramente pazzesco: Si può fare!
Primi anni ’80, Milano, Nello, interpretato da un inaspettato Claudio Biso, è appena stato allontanato dal suo lavoro e retrocesso alla Cooperativa 180, all’interno della quale, come in molte altre, in virtù della legge 180 (comunemente conosciuta come legge Basaglia) erano stati collocati o condannati, a seconda dei punti di vista, i pazienti dimessi dagli ex manicomi.
Nello si trova immerso in una realtà nuova, con la quale si rapporta con una certa scioltezza e semplicità riuscendo a guadagnare la fiducia e l’approvazione dei suoi soci con i quali si considera alla pari: invita ognuno di loro ad esprimere la propria opinione in merito a problemi e questioni sollevate da Nello stesso e così riesce a creare una squadra, scoprendo e sfruttando le capacità di ogni socio.
L’iniziativa di Nello, ovvero quella di compattare il gruppo e trovare, come farà, un lavoro non piace, però, al medico che cura (somministrando quantità di medicine invalidanti a pazienti il cui interesse potrebbe essere risvegliato stimolando ogni singola intelligenza) i pazienti che restano per quest’ultimo fondamentalmente dei matti.
Nello si dedica a questo lavoro con tutto se stesso, dedica la sua vita alla cooperativa raggiungendo degli ottimi risultati, gratificando il lavoro di ogni singolo componente del gruppo, trattandolo non prendendo in considerazione la malattia mentale ma solo l’operato e la personalità.
Il lavoro di Nello non è altro che il lavoro svolto da molti uomini e molte donne in Italia in quegli anni che hanno dedicato la vita a cooperative di questo genere come il regista stesso tiene a sottolineare prima dei titoli di coda.
Questa è, purtroppo, la classica storia del medico stanco e rassegnato che si abbandona alla somministrazione di medicine per tenere buoni i pazienti come fossero bambini indisciplinati.
Questa è la classica storia del medico che nonostante la stanchezza, l’inattività, gli sguardi persi e l’impotenza maschile continua ad affidare la vita di questi uomini e queste donne a psicofarmaci che non risolveranno il problema che sederanno ma non educheranno quei bambini.
Quando si parla di “classica storia” è d’uopo interpretare tutta la drammaticità nascosta in tale espressione: si parla di questa storia come fosse la normalità ma ciò esclude chiaramente che possa cadere a picco nel baratro dei luoghi comuni.
Fortunatamente in questo caso a credere nella pazzia e nella convivenza con essa c’è Nello che si rimbocca le maniche e va avanti anche se intaccando in un drammatico episodio.
L’aspetto drammatico nel film è appena accennato in quando la vena comica è sicuramente prediletta, perfettamente raccontata dalla magistrale interpretazione degli attori protagonisti.
Nel vedere gli sguardi e le smorfie sui loro volti pare di vedere malattie vere, veri disagi e veri drammi consumati nella testa o nel mondo esterno al soggetto.
Chiaramente l’ottima interpretazione degli attori, tra questi anche Claudio Bisio del tutto inaspettata in un ruolo serioso e combattivo come quello di Nello, è accompagnata da buone sceneggiature che fondamentalmente ricordano la semplicità, ricordano quanto semplici, ma non stupidi, siano i pensieri di quegli uomini e quelle donne, quanto sia facile fare e mettersi all’opera.
È chiaro che, oltre alla storia in sé, riesce spontaneo riflettere su aspetti universali, su quanto a volte tutti sembrano matti, abili artisti a truccare la realtà che si scioglie sotto il battito della prima lacrima.
La qualità delle immagini e della fotografia è semplice e gradevole.
Suggestiva la scelta degli ambienti ed attuale la scelta dei temi trattati (accenno alla figura da poco nata dell’assistente sessuale, figura che lascia molto discutere l’opinione pubblica).
Film inaspettatamente profondo, simpatico e spiritoso, in grado di raccontare una realtà dura e drammatica attraverso un sorriso senza mai appesantire il clima circostante.
Corinne Cocca