«Vai a quel paese perché ti amo.
Ti amo disperato, avvilito, invecchiato, solo,
come un giornale letto e gettato via.
Un sasso scomodo sulla tua via
che prendi a calci»
Domenico Modugno – Né con te né senza di te
«Je vous souhaite d’être follement aimée»[1]
La cronaca nera fa parte di noi, dice Truffaut, ed è infatti proprio la cronaca nera a raccontare di noi, a far uscire allo scoperto cose che noi stesso non avremmo potuto vedere. Far emergere le pulsioni che guidano le nostre azioni.
Ed è proprio con un fatto di cronaca nera, riportato da un giornale, che comincia il film La signora della porta accanto.
La signora della porta accanto – né con te né senza di te
La signora della porta accanto è un film di Truffaut del 1981, le riprese vengono fatte dal 1 aprile al 15 maggio dell’81 a Grenoble. Il progetto risale però a qualche anno prima e i protagonisti dovevano essere Jeanne Moreau e Charles Denner ma:
«Mettere di fronte un uomo e una donna che si sono già amati nel passato è un tema che ho in testa da molti anni e sul quale prendevo degli appunti. […] Semplicemente, mi occorreva trovare la coppia ideale… Quando alla serata dei César del 1980 ebbi occasione di vedere, fianco a fianco, Fanny Ardant e Gérard Depardieu, ebbi la sensazione che cinematograficamente quella fosse una bella coppia, due figure alte, il biondo e la bruna, un uomo apparentemente semplice ma complicato, una donna apparentemente complicata ma semplice come un arrivederci. L’idea di La signora della porta accanto era nata e si faceva strada: si annunciava un nuovo film.»
Non ci viene raccontato molto del passato dei protagonisti, siamo catapultati nella loro vita solo per un breve e intenso lasso di tempo, riusciamo a comprendere solo gli effetti che hanno avuto sui loro comportamenti determinati avvenimenti particolarmente significativi. Ci viene detto che i protagonisti si sono già follemente amati in passato, che forse c’è stato un aborto e che questo potrebbe essere il risultato di un rapporto poco chiaro, complicato, in cui non viene detto tutto. È lei a decidere di chiudere la loro relazione e durante il film emerge che è reduce da un tentativo di suicidio e da un altro matrimonio sbagliato; un modo per dimenticare l’indimenticabile. La storia di questo film è essenzialmente la storia di un amore mancato, di un controcampo mancato: i protagonisti non possono vivere la loro storia d’amore, non in questo mondo «stupido».
Mathilde è impegnata a disegnare le tavole del libro per bambini che sta pubblicando, i suoi sentimenti si riversano in quei disegni e esasperata confessa che è il «rosso del sangue a dare senso all’immagine»[2], così come è il tormento (un sentimento viscerale) a dare senso a tutta la sua esistenza. Dopo un periodo in un ospedale psichiatrico, dove viene ricoverata a seguito di una crisi isterica, chiederà al marito di portarle la camicia bianca, perché nonostante sia un po’ rotta «l’importante è che sia bianca»; proprio come una tavola sulla quale si può disegnare qualsiasi cosa, una volontà di ricominciare la propria vita con il marito paziente e amorevole, lontano da Grenoble, lontano dai ricordi.
Ma i ricordi si fanno sempre strada nel nostro presente, è il loro compito. La signora Odile Jouve, che racconta la loro storia, è essa stessa vittima di un amore impossibile, mai dimenticato, fugge via per alcuni giorni a Parigi quando le viene comunicato che il suo vecchio amante la sta raggiungendo. Scappa perché non vuole raccontargli (e raccontarsi) la verità, perché sarebbe ancora troppo doloroso rivederlo e poi dirgli addio, ancora una volta.
«Credi davvero che la sua sia stata una fortuna?» chiede Mathilde al marito, vale la pena continuare a vivere soffrendo per un amore mai consumato? La signora Jouve si ritrova in una situazione di mezzo, ha risposto con il dolore alla domanda godardiana («cosa sceglieresti tra il dolore e il nulla?»), così come sta facendo ora la stessa Mathilde.
«[…] ascolto solo canzoni. Perché dicono la verità. Più sono stupide e più sono vere. E poi non sono stupide… Che dicono? Dicono “Non devi lasciarmi”, “Senza di te in me non c’è vita”, “Senza di te io sono una casa vuota”, o “Lascia che io divenga l’ombra della tua ombra”, oppure “Senza amore non siamo niente”.»
Ed è proprio una canzone a raccontarci la verità, la verità è che entrambi non avrebbero potuto più vivere né insieme né separati: lei cede al mostro dei ricordi, si incontrano, si amano e muoiono. Ancora una volta è stato l’amore a condurre due amanti a una morte.[3]
Come afferma la signora Jouve, l’epitaffio funerario per i due amanti dovrebbe essere:
«Né con te, né senza di te»
Né con te perché ormai non si è più gli stessi, sono passati troppi anni.
«A me piacciono le coppie felici. Io li aiuto, li indirizzo sulla strada giusta, gli dò consigli. Però non li seguo più quando fanno quegli errori così stupidi. Cominciano a dirsi le bugie, poi si separano, poi ritornano a stare insieme. Però è troppo tardi, perché ormai sono feriti… e cattivi… e allora non li voglio più vedere»
Bianca, Nanni Moretti (1984)
Né senza di te perché in un amore tormentato e passionale come quello tra Bernard e Mathilde diventa impossibile pensarsi distanti, l’uno vive dell’altro.
Cira Pinto
[1] Vi auguro di essere follemente amata, cit. L’Amour fou, André Breton.
[2] Quando gli viene proposto di modificare un disegno perché probabilmente inadatto e troppo crudo per un pubblico di bambini.
[3] In riferimento a: «Amor condusse a noi a una morte», V canto, I cantica (Inferno), La divina commedia, Dante.