Come già accennato in un precedente articolo, l’espressione Spaghetti western nasce negli Stati Uniti, con senso dispregiativo, per indicare dei lungometraggi girati in Italia che apparentemente vorrebbero avere il sapore del western classico americano. Inizialmente, questo genere di film, vengono girati con budget ridotti (un po’ per riprendere quella che era la tradizione del western e un po’ perché, effettivamente, di risorse economiche ve ne erano poche).
Tra gli anni Sessanta e Settanta sono molti i registi italiani che si sono dedicati al western, ma, per lungo tempo, la critica ha riconosciuto solo il valore di quello che è stato il maestro indiscusso: Sergio Leone.
Il primo western italiano appartiene, comunque, a Mario Amendola (ne cura anche il soggetto e la sceneggiatura): Il terrore dell’Oklahoma (1959); un western comico che vuole fare il verso al genere che viene continuamente e gloriosamente esportato dal cinema americano in tutto il mondo. La comicità è leggera e dal risultato gradevole, notevole, poi, è la fotografia di Adalberto Albertini.
Ma, probabilmente, gli spaghetti western più conosciuti (e, forse, quelli che sono diventati dei veri e propri punti di riferimento del genere) sono quelli appartenenti a Leone e alla sua Trilogia del dollaro (di cui fanno parte: Per un pugno di dollari-1964, Per qualche dollaro in più-1965 e Il buono, il brutto, il cattivo-1966).
Di fatto: Sergio Leone, Clint Eastwood e il maestro Ennio Morricone diventano i sinonimi del genere stesso.
Così come è accaduto al western classico, dopo un periodo di grande sviluppo che va dagli anni Sessanta agli anni Settanta, nei decenni successivi gli spaghetti western attraversano un periodo di declino e uno degli ultimi film che richiama il genere è Gli spietati (Clint Eastwood – 1992).
Interessante è però assistere alla recente riscoperta e ripresa del genere, facendo anche riferimento al continuo omaggio fatto da Quentin Tarantino a Sergio Leone e a tutto il western italiano: inserisce, ad esempio, una dedica a Sergio Leone nei titoli di coda di Kill Bill vol.1 e Kill Bill vol.2 e, nel finale di Django Unchained, viene ripresa la colonna sonora appartenente a Lo chiamavano Trinità… (Enzo Barboni, 1970).
Le caratteristiche dello western all’italiana: gli spaghetti western
Senza, per ora, soffermarci specificatamente a Sergio Leone (che, come abbiamo già detto, non è il solo regista italiano che si è dedicato al genere ma vi sono anche Damiano Damiani, Duccio Tessari, Sergio Corbucci…) bisogna individuare quelli che sono i veri e propri elementi caratteristici degli Spaghetti western.
Franco Ferrini (sceneggiatore e regista) nel 1971, sulla rivista Bianco e Nero scrive un articolo nel quale individua nove situazioni-tipo che rendono il western all’italiana distinto e contrapposto a quello classico[1].
Tendenzialmente, si può dire che nei western all’italiana il protagonista non è un vero e proprio eroe, è molto spesso mosso da un interesse personale più che da motivazioni idealistiche. Gli Spaghetti western non hanno alcuna tensione ottimista né moralista quanto quelli classici e il denaro, quindi, si presenta come il vero motore propulsore delle azioni dei cinici protagonisti.
La distinzione tra buono e cattivo è sfumata e tutti i personaggi, anche quelli positivi, appaiono cinici, sporchi, trasandati e, in fondo, realistici. Ciò che emerge è un’immagine meno epica e molto più dura dell’Ottocento americano ed è anche per questo che, in un primo momento, il genere viene visto con diffidenza dagli americani (ancora notevolmente legati agli stereotipi tradizionali e nostalgici del mito della frontiera).
Negli spaghetti western vi è la frequente presenza di alcuni personaggi (le “maschere” di Django e Sartana, ad esempio) che puntano a sfruttare il fatto che, per il pubblico, è piacevole ritrovare sullo schermo un personaggio noto (c’è da dire che, il potenziale del fattore riconoscimento, è proprio del teatro rinascimentale italiano caratterizzato dall’influenza rivoluzionaria della Commedia dell’Arte).
Non meno importante e significativo è la presenza di sparatorie, uccisioni e i classici duelli finali che sono il vero e proprio momento apice di tutta la vicenda, assumendo caratteri di tensione e di trasporto emotivo.
Ciò che emerge dall’analisi di uno dei generi italiani più importanti e rappresentativi del cinema italiano è che, in un certo senso, il western italiano ha dato una spinta al desiderio di revisionismo e di cambiamento che stava già attraversando in forma occulta il western classico (lo stesso John Ford, l’autore che più di tutti è in grado di rappresentare il genere comincia, già dagli anni Sessanta, a mettere in scena la figura di un eroe diverso, che mal si adatta al contesto in cui è calato).
Cira Pinto
Bibliografia:
– Introduzione alla storia del cinema, a cura di Paolo Bertetto.
– Storia del cinema italiano dal 1945 agli anni ottanta , Gian Piero Brunetta.
[1] Fa riferimento all’uso che viene fatto dell’alcol, dei nomi, delle armi, del duello…