Chi ha un ricordo dell’Odissea (che sia scolastico o meno) non può restare indifferente al personaggio principale che dà anche il titolo all’ importante poema omerico: Odisseo, conosciuto anche con il nome romano di Ulisse.
Chi è Ulisse? Non soltanto l’artefice della costruzione del cavallo di Troia e della distruzione della relativa città, ma anche un personaggio le cui mirabolanti imprese fanno pensare ad un semidio. In fondo non è da tutti affrontare, seppur con i dovuti timori insiti nella natura umana, creature e mostri di tanto superiori: il ciclope Polifemo, le Sirene, la maga Circe, Scilla e Cariddi… la cosa sorprendente è che, contrariamente alle aspettative, non ci troviamo davanti ad una divinità, ma ad un uomo come tutti noi e Omero, fin dal proemio del suo poema, mette in chiaro questo fatto:
Narrami, o musa, dell’eroe multiforme, che tanto
vagò, dopo che distrusse la Rocca sacra di Troia:
di molti uomini vide le città e conobbe i pensieri
molti dolori patì sul mare nell’animo suo,
per riacquistare a sé la vita e il ritorno ai compagni.
[…]
Ulisse quindi è un uomo che ha subito i capricci e le angherie dei divini. Ma, forte della propria astuzia e del proprio ingegno, è capace di superarli e (perché no?) sfidarli. Un personaggio come questo non poteva restare nascosto tra secoli e secoli di letteratura e non sono stati pochi gli autori che hanno immaginato l’eroe acheo salpare per un nuovo viaggio.
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Il “folle viaggio” di Ulisse nella Divina Commedia
Dante, come è noto, parla dell’ eroe omerico nel canto XXVI dell’Inferno, confinato nel cerchio dei consiglieri fraudolenti (l’ottavo delle Malebolgie). Ulisse è avvolto, assieme a Diomede, dentro delle fiamme e Dante è interessato a parlare con l’eroe, desideroso di sapere i particolari dell’ultimo viaggio da lui intrapreso. Ulisse allora gli risponde:
[…]
Indi la cima qua e là menando
Come fosse la lingua che parlasse,
gittò voce di fuori e disse: << Quando
mi diparti’ da Circe, che sottrasse
me più d’un anno là presso a Gaeta,
prima che sì Enea a nomasse,
né dolcezza di figlio, né la pieta
del vecchio padre, né ‘l debito amore
lo qual dovea Penelopé far lieta,
vincer potero dentro a me l’ardore
ch’i ebbi a divenir de mondo esperto
e de i vizi umani e del valore;
ma misi me per l’altro mare aperto
sol con un legno e con quella compagna
picciola da la qual non fui diserto.
[…]
L’Ulisse dantesco è un uomo spinto dalla curiosità, che lo porta a lasciare i comodi confini di Itaca e a lanciarsi in nuove avventure. L’eroe decide infatti di spingersi oltre le “Colonne d’Ercole”, quei misteriosi luoghi che la geografia medievale poneva come limiti invarcabili, oltre i quali si trovava solo l’oceano e nessuna terra abitabile.
[…]
“Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza”.
Ma è proprio questa curiosità a rappresentare una disgrazia per Ulisse. Assieme ai suoi compagni riprende il mare e, giunto alle colonne, non può che andare incontro al suo destino.
[…]
Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto,
ché de la nova terra un turbo nacque
e percosse del legno il primo canto.
Tre volte il fé girar con tutte l’acque;
a la quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com’altrui piacque,
[…]
Dante rappresenta Ulisse come l’incarnazione dell’uomo desideroso di superare quei limiti che la natura divina gli ha imposto. Tuttavia il fallimento del “folle” viaggio dell’acheo è un’allegoria che serve per rammentare il fatto che il volere di Dio non è mai arginabile.
L’Ultimo viaggio di Pascoli
La necessità di un viaggio teleologico è sentita a inizio ‘900 anche da Giovanni Pascoli, il quale dedica all’eroe omerico il poemetto L’ultimo viaggio, pubblicato nel 1904 assieme ai Poemi conviviali.
L’opera inizia dove finisce l’Odissea. Sono passati molti anni e Ulisse, invecchiato e spinto dalla nostalgia, decide di riprendere il mare con i suoi vecchi compagni e di rivisitare i luoghi delle sue avventure. Tuttavia, Ulisse scopre che tutto è cambiato: non incontra più le creature in cui si era imbattuto in passato e, credendo che queste siano state frutto della sua immaginazione, cerca una conferma avvicinandosi all’isola delle sirene.
Ed il prato fiorito era nel mare,
nel mare liscio come un cielo; e il canto
non risonava delle due Sirene,
ancora, perché il prato era lontano.E il vecchio Eroe sentì che una sommessa
forza, corrente sotto il mare calmo,
spingea la nave verso le Sirene
e disse agli altri d’inalzare i remi:
«La nave corre ora da sé, compagni!
Non turbi il rombo del remeggio i canti
delle Sirene. Ormai le udremo. […]
Le sirene però non intonano alcun canto. Al passaggio di Ulisse e dei suoi uomini rimangono mute e l’eroe, cercando di interpellarle, inizia a delirare.
[…]
«Vedo. Sia pure. Questo duro ossame
cresca quel mucchio. Ma, voi due, parlate!
Ma dite un vero, un solo a me, tra il tutto,
prima ch’io muoia, a ciò ch’io sia vissuto!».[…]
Solo quando oramai si è avvicinato, un’amara verità attende Ulisse. Quella che sta attraversando è un’isola sovrastata da un mucchio di ossa umane, ma non è opera di creature ingannatrici. Si tratta bensì di un’immensa scogliera contro la quale si sono scontrati miliardi di navi e quella di Ulisse è la prossima.
[…]
«Solo mi resta un attimo. Vi prego!
Ditemi almeno chi sono io! chi ero!».
E tra i due scogli si spezzò la nave.
Anche l’Ulisse di Pascoli, come quello dantesco, è un uomo spinto dalla propria curiosità. In questo caso, però, non c’è alcuna giustificazione cristiana che condanni l’estremo viaggio dell’acheo. Piuttosto si intravede una metafora della vita umana, nel suo passaggio dalla giovinezza alla vecchiaia: la fine delle illusioni, dei sogni che alimentano la nostra esistenza e la rassegnazione all’amarezza della realtà.
Il viaggio verso la conoscenza di Kavafis
Si potrebbe parlare all’infinito dell’influenza di Ulisse nella letteratura moderna, ma la moltitudine di esempi è tale che non possono essere trattati tutti in un singolo articolo. A tale proposito, ci limiteremo ad elencare solo un’altra interpretazione della figura dell’eroe omerico: quella di Kostantinos Kavafis, un poeta greco (guarda caso) che al viaggio di Odisseo dedica uno dei suoi componimenti più noti: Itaca.
In questa poesia, però, Ulisse non compare. Compare l’itinerario da lui compiuto, metaforizzato come un viaggio della conoscenza.
Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,
né nell’irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l’anima non te li mette contro.Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d’estate siano tanti
quando nei porti – finalmente e con che gioia –
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d’ogni sorta;
più profumi inebrianti che puoi,
va in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti.Sempre devi avere in mente Itaca –
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
in viaggio: che cos’altro ti aspetti?[…]
Il viaggio verso Itaca diventa un invito rivolto agli uomini a coltivare il sapere, ad essere sempre curiosi verso il mondo circostante e a guardare con fiducia alle esperienze future, senza temere “Lestrigoni e Ciclopi”, che rappresentano semplici difficoltà passeggere. Un messaggio rivolto quindi all’Ulisse che è in noi, allo spirito di curiosità insito nella natura di ogni essere umano, l’unico in grado di offrirci la ricchezza dello spirito.
[…]
E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.
Ciro Gianluigi Barbato
Bibliografia
Dante Alighieri – Inferno (a cura di Natalino Sapegno) – Le Monnier
Sitografia