The Waste Land di Eliot e Ulysses di Joyce usano entrambe il mito per trasfigurare l’insensatezza del presente: è il “mythical method” (metodo mitico).
Il 1922 è una data molto importante nella storia della letteratura inglese. Si tratta della data di pubblicazione di due capolavori del primo Novecento, il poema di T. S. Eliot “The Waste Land” e il lungo, scioccante romanzo di James Joyce “Ulysses“. Ciò che hanno in comune i due testi va oltre la semplice appartenenza a quella particolare avanguardia letteraria che è stata definita modernismo: li caratterizza una tecnica narrativa inedita, ossia l’uso del mito e della tradizione passata per descrivere e dare un senso al caos ed all’insensatezza del presente.
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Eliot e Joyce rappresentanti del modernismo
L’unico modo per comprendere la tecnica narrativa di questi due autori, il costante riferimento al mito e la complessità quasi inaccessibile del linguaggio, è guardare al contesto in cui Eliot e Joyce scrivevano. Come tutte le avanguardie di inizio secolo, i modernisti (e in particolare quelli più “militanti”, come Ezra Pound) si proponevano un radicale rinnovamento dell’arte e della letteratura, perché percepivano scomode e inadeguate le forme che avevano caratterizzato l’epoca vittoriana.
Obiettivo della critica era in particolare il romanzo realistico ottocentesco, al quale Virginia Woolf oppose la celebre formula “Look Within” contenuta nel suo saggio Modern Fiction. Rispondendo al richiamo di Pound “Make it New”, i giovani autori dell’epoca, spesso culturalmente “esuli” in quanto non inglesi – Eliot era americano, Joyce irlandese – andarono in cerca di nuove forme per adeguare la letteratura ai rapidissimi cambiamenti del primo Novecento.
Il modernismo fu, però, un’avanguardia diversa da quelle continentali: pur avendo avuto contatti con il contemporaneo futurismo, che stava avendo successo anche sul suolo britannico, i modernisti non interruppero mai un dialogo con la tradizione.
Esempio lampante è il lavoro saggistico di Eliot, che mira non a distruggere, bensì a rileggere e valutare con occhi nuovi la letteratura inglese, “detronizzando” i despoti romantici e dando nuovo lustro agli autori secenteschi, i metafisici, che secondo l’autore erano dotati di un’intelligenza più acuta ed analitica, molto più adeguata alla nuova realtà storica.
Il mito dell’infertilità: la Terra Desolata
What are the roots that clutch, what branches grow out of this stony rubbish? Son of man, you cannot say, or guess, for you know only a heap of broken images, where the sun beats, and the dead tree gives no shelter, the cricket no relief, and the dry stone no sound of water. [1]
Il poema di Eliot, The Waste Land, che risulta tanto ostico ad una lettura superficiale, consiste in un vero e proprio pastiche che fonde mito, letteratura e fatti a metà tra la storia e la leggenda. Il titolo fa riferimento alla terre gaste delle leggende arturiane medievali, scenario arido e disseccato sullo sfondo del quale si muove l’ultimo custode del Graal, il Re Pescatore. L’intento di Eliot è quello di rappresentare la caratteristica essenziale della modernità, cioè la sterilità, attraverso il mito.
Rivelatore di questa condizione è l’indovino Tiresia, figura ricorrente in molta letteratura classica. Secondo il mito, Tiresia sarebbe stato tramutato in donna in seguito all’uccisione di un serpente: questa sua metamorfosi lo avrebbe reso il più adatto a comprendere i rapporti amorosi, avendone fatto esperienza in entrambe le forme (come uomo e come donna).
Eliot usa gli occhi di Tiresia per descrivere una tipica relazione moderna, caratterizzata anch’essa, come il paesaggio, dall’aridità: un uomo, di ritorno dalla guerra, si reca presso la sua donna, consuma un rapporto che lei non desidera, ma al quale non oppone resistenza, e si allontana nuovamente. La sterilità è, per Eliot, materiale e spirituale al tempo stesso: dopo la devastazione della prima guerra mondiale, non è solo la terra ad essere distrutta, ma anche le relazioni sociali sono ridotte a incontro animalesco e fugace.
Il mito di Ulisse: il metodo mitico secondo Eliot
Nella sua recensione al romanzo di Joyce, Eliot definisce l’operazione dell’autore irlandese “metodo mitico“. Tale tecnica avrebbe la stessa importanza di una scoperta scientifica, perché fornisce allo scrittore uno strumento adatto a dare senso e forma al panorama di immensa futilità e anarchia della storia contemporanea. [2]
È sicuramente vero che Joyce, scrivendo l’Ulisse, avesse un’ambizione totalista, quella di rendere un mito universale “sub specie temporis nostri”. In effetti l’erranza di Leopold Bloom per le strade di Dublino vuole essere la traduzione contemporanea dell’erranza di Ulisse, che riassuma in ventiquattr’ore l’incessante mutazione del tempo e della vita. Viene quasi da dire che l’Ulisse di Joyce sia così complesso da leggere perché mira a rappresentare, coi suoi peculiari strumenti linguistici, la complessità della vita stessa.
Eliot e Joyce, dunque, ciascuno nella forma che riteneva propria – il primo attraverso la poesia e il pastiche, il secondo con il romanzo e la sperimentazione linguistica – hanno trovato nella rielaborazione del mito una nuova via d’accesso alla rappresentazione artistica del mondo: a step toward making the modern world possible for art. [3]
Maria Fiorella Suozzo
Fonti e traduzioni
The Waste Land, T.S. Eliot [1]
Ulysses, Order and Myth, T.S. Eliot [2], [3]
Storia della letteratura inglese a cura di Paolo Bertinetti, vol.2
[1] Quali sono le radici che s’afferrano, quali i rami che crescono da queste macerie di pietra? Figlio dell’uomo, tu non puoi dire, né immaginare, perché conosci soltanto un cumulo d’immagini infrante, dove batte il sole, e l’albero morto non dà riparo, nessun conforto lo stridere del grillo, l’arida pietra nessun suono d’acque. (trad. di Roberto Sanesi)
immagine in evidenza: il trionfo della morte, Bruegel il vecchio
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