Il lungo viaggio è un racconto che Leonardo Sciascia inserì nella raccolta “Il mare colore del vino”, opera che raccoglie testi pubblicati tra il 1959 e il 1972; racconti che costituiscono una “summa”, un vero viaggio tra i temi più cari allo scrittore: la mafia, la corruzione, gli abusi di potere.
Esaminando le condizioni della realtà siciliana, Sciascia, con la sua opera sempre legata alla realtà contemporanea e basata sull’impegno civile, rappresenta il nodo delle contraddizioni politiche e sociali dell’Italia contemporanea nel suo complesso. Il racconto “Il lungo viaggio” propone un aspetto della drammatica realtà siciliana del dopoguerra quando molti scelsero di emigrare per fuggire alla miseria inflitta dalla Seconda guerra mondiale.
“Era una notte che pareva fatta apposta, un’oscurità cagliata che a muoversi quasi se ne sentiva il peso. E faceva spavento, respiro di quella belva che era il mondo, il suono del mare: un respiro che veniva a spegnersi ai loro piedi”
Protagonista è un gruppo di siciliani provenienti da paesi interni, lontani dal mare, i quali decidono di affrontare il lungo viaggio in mare per andare in America a far fortuna. Pronti a partire, da una spiaggia deserta della Sicilia tra Gela e Licata per un viaggio avventuroso che non promette alcuna certezza.
“Perché i patti erano questi – Io di notte vi imbarco – aveva detto l’uomo: una specie di commesso viaggiatore per la parlantina, ma serio e onesto nel volto – e di notte vi sbarco: sulla spiaggia del Nugioirsi, vi sbarco; a due passi da Nuovaiorche… E chi ha parenti in America, può scrivergli che aspettino alla stazione di Trenton, dodici giorni dopo l’imbarco… Fatevi il conto da voi… Certo, il giorno preciso non posso assicurarvelo: mettiamo che c’è mare grosso, mettiamo che la guardia costiera stia a vigilare… Un giorno più o un giorno meno, non vi fa niente: l’importante è sbarcare in America.”
Per permettersi questo viaggio da irregolari hanno dovuto vendere tutti i loro averi per pagare i traghettatori astuti ed imbroglioni affinché li portino nel nuovo mondo, ad un nuova vita. Sorprendentemente il viaggio dura meno di quanto si aspettavano i clandestini siciliani: dopo undici notti si vedono in lontananza le luci delle città che appaiono ai viaggiatori come stelle scese al mare. Il signor Melfa, uno dei traghettatori, lascia il gruppo di clandestini a terra che dovranno cercarsi da soli la stazione di Trenton, ma quando chiederanno informazioni riceveranno risposte in italiano ed insulti perché scambiati per ubriachi. Preso atto dell’imbroglio, si rendono conto di essere sbarcati a Santa Croce Camarina. Il silenzio avvolse il gruppo e fu rotto da uno a cui sovvennero ricordi legati a questo luogo.
“- Mi sto ricordando – disse dopo un momento quello cui il nome di Santa Croce non suonava nuovo – a Santa Croce Camerina, un’annata che dalle nostre parti andò male, mio padre ci venne per la mietitura. Si buttarono come schiantati sull’orlo della cunetta perché non c’era fretta di portare agli altri la notizia che erano sbarcati in Sicilia.”
Il lungo viaggio della speranza
“Il lungo viaggio” trattando del problema dell’emigrazione come dura necessità evidenzia anche il fascino che l’America esercita sulle popolazioni meridionali. Attraverso Alla descrizione realistica e amara delle condizioni degli emigranti meridionali questo racconto offre una rappresentazione meno utopica del loro sogno irrealizzato, ma nonostante la beffarda truffa, il finale fa spazio a un sorriso per la situazione comica in cui vengono a trovarsi gli sventurati protagonisti.
“– Trenton? – domandò uno dei due. – Che? – fece l’automobilista. – Trenton? – Che Trenton della madonna – imprecò l’uomo dell’automobile. – Parla italiano – si dissero i due, guardandosi per consultarsi: se non era il caso di rivelare a un compatriota la loro condizione. L’automobilista chiuse lo sportello, rimise in moto. L’automobile balzò in avanti: e solo allora gridò ai due che rimanevano sulla strada come statue – ubriaconi, cornuti ubriaconi, cornuti e figli di… – il resto si perse nella corsa.”
L’impegno civile delle opere di Sciascia trova ancora una volta espressione in forme di scrittura originali realizzate sempre con prosa chiara e basata su una concretezza che poco concede al sentimento favorendo invece il momento dell’analisi oggettiva e della denuncia. Il senso di miseria, precarietà e abbandono dei siciliani appare evidente fin dall’inizio (“respiro di belva che era il mondo”); essi, in un viaggio della speranza, sono umiliati e sminuiti della loro stessa considerazione personale, prendendo coscienza della truffa subita è proprio il loro punto di vista ad essere messo in evidenza per un rappresentazione quanto più vicina alla disperata realtà dell’epoca.
Maurizio Marchese
Bibliografia:
Leonardo Sciascia, Il mare colore del vino, Adelphi in “La nuova Italia”, 2000.