Gotthold Ephraim Lessing (1729-1781) è uno degli autori più importanti del Settecento tedesco, purtroppo poco conosciuto e rappresentato nei teatri italiani. In questo articolo vogliamo quindi presentarvi il pensiero di un illuminista innovativo e antidogmatico che, al pari di Kant nel suo Che cos’è l’illuminismo?, sostenne quell’uscita dell’uomo dallo stato di minorità tanto cara agli intellettuali di periodo, la necessità di sviluppare un senso critico e, in ambito letterario, di svincolarsi dai rigidi canoni imposti dalle poetiche dell’epoca.
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Perché leggere Lessing?
L’antidogmatismo di Lessing si sviluppa lungo due direzioni. Dal punto di vista letterario, egli propose il superaramento delle convenzioni della poetica aristotelica, ad esempio elevando di spessore l’argomento delle commedie o proponendo modelli che percepiva più vicini alla sensibilità tedesca, ispirati in primo luogo a Shakespeare. Dal punto di vista teologico, poi, fu sempre un sostenitore della ragione contro la fede cieca ed il fanatismo, come testimonia la polemica scoppiata con il pastore di Amburgo Goeze.
Lessing aveva infatti pubblicato dei frammenti anonimi su vari temi teologici, corredati da commento, che sostenevano tesi quasi scandalose per l’epoca (come la tolleranza verso il deismo e persino verso l’ateismo e la diffamazione della ragione operata dai predicatori sui pulpiti). Queste sue pubblicazioni gli costarano l’imposizione della censura preventiva; per questo motivo egli cambiò semplicemente campo di battaglia, predicando dal suo pulpito preferito: il palcoscenico.
Leggere Lessing e in particolare “Nathan il saggio” significa quindi approcciarsi ad un autore che è sì lontano nel tempo e nello spazio, ma ci dice qualcosa che abbiamo ancora, inevitabilmente, bisogno di sentire: non è il credo religioso che ci rende più buoni o più umani, ma il modo in cui il nostro comportamento rispecchia questo senso di umanità. È, in parole povere, la tolleranza verso l’altro, verso il diverso, a renderci umani.
Nathan il saggio
Si tratta di un’opera drammatica di difficile definizione, ispirata a Shakespeare nella forma metrica, che Lessing definì “poema drammatico in cinque atti”: questo che a noi potrebbe apparire irrilevante, era in realtà una vera e propria innovazione per l’epoca, perché si riteneva che la dicotomia commedia-tragedia andasse rigidamente rispettata. Anche la trama è piuttosto complessa, perciò ci limiteremo a raccontarvi chi sono i personaggi principali e cosa vi accade di così inusuale.
C’erano un ebreo, un templare e un sultano…
…che vivevano a Gerusalemme nel breve periodo di pace tra due crociate.
Nathan, l’ebreo, oltre ad essere un ricco e generoso mercante, è da tutti considerato un uomo estremamente saggio. Prima riflessione: Lessing ci presenta una figura di ebreo del tutto atipica, che non solo sostituisce la generosità all’avidità, ma la cui caratteristica fondamentale è la saggezza, emanazione della ragione illuminista. In tutte le discussioni che si creano nell’opera, infatti, è Nathan a mantenere la calma e a sciogliere le controversie grazie alla sua pacatezza e razionalità.
Il templare, al centro di una complessa questione familiare, è l’unico superstite di un gruppo di cavalieri cristiani: il sultano gli ha concesso la grazia in virtù della sua estrema somiglianza con un fratello scomparso. L’agnizione finale, inutile dirlo, è dietro l’angolo, ma lo scioglimento della trama ha il risvolto ben più importante di rappresentare concretamente il rapporto di parentela tra le diverse religioni monoteiste.
Il sultano, Saladino, è l’unica figura storica presente nell’opera: vissuto nel corso del XII secolo, condusse le forze musulmane alla riconquista della Palestina in seguito alla vittoriosa battaglia di Hattin. La sua figura aveva già ispirato molti autori, tra cui Dante, che lo include nel Limbo come esempio di uomo retto e virtù cavalleresca, e Boccaccio, in ben due novelle del Decameron.
L’intreccio
La trama consiste in un complicato intreccio di relazioni, in cui Nathan si trova a fare da padre ad una fanciulla orfana di famiglia cristiana il cui padre, come si scoprirà alla fine, è niente di meno che il fratello di Saladino, convertitosi dall’islam al cristianesimo per amore.
Il pensiero di Nathan – in cui si rispecchia quello di Lessing – è però evidente da una parabola che il saggio ebreo racconta al Saladino, allorché egli gli domanda quale sia, per un uomo della sua statura intellettuale, la legge (ossia la religione, perché in termini coranici le due espressioni sono molto vicine) più conveniente.
Infatti Nathan, sostiene il Saladino, non può essere ebreo semplicemente perché tale è nato: dev’esserci qualcosa che lo ha convinto a rimanere ebreo, qualcosa che gli ha fatto prendere consapevolmente la decisione di professare l’ebraismo.
La parabola dei tre anelli: Boccaccio e Lessing
A questo punto Nathan spiazza il suo interlocutore, raccontandogli la parabola dei tre anelli; la fonte di Lessing è una novella del Decameron di Boccaccio, in cui il giudeo Melchisedech si trova, proprio come Nathan, a discutere con Saladino di “quale delle tre leggi tu reputi la verace, o la giudaica o la saracina o la cristiana.” [1]
La parabola vuole che in Oriente un uomo possedesse un anello inestimabile; alla sua morte l’oggetto fu lasciato al figlio più amato, in modo da determinare la discendenza: a sua volta quel figlio avrebbe lasciato l’anello al suo figlio più amato e così via. L’anello passò di figlio in figlio, fino ad arrivare a un padre di tre figli, tutti amati nello stesso modo.
Non potendo decidersi su quale dovesse ricevere l’anello e il regno, il padre fece forgiare altri due anelli esattamente identici al primo e donò i tre anelli a tutti i suoi figli, lasciando alla sua morte il regno in preda ad invidie e litigi. I figli non sapevano infatti decidersi su quale fosse l’anello vero, poiché essi erano assolutamente uguali, e l’unico responso che ebbero dal giudice designato a sciogliere la questione fu il seguente:
Voi dite che l’anello vero ha il magico potere di rendere amati, grati a Dio e agli uomini. Sia questo a decidere! Gli anelli falsi non potranno. […] Ciascuno di voi ama solo se stesso? Allora tutti e tre siete truffatori truffati! I vostri anelli sono falsi tutti e tre. […] Ognuno faccia a gara per dimostrare alla luce del giorno la virtù della pietra nel suo anello.
Un invito alla tolleranza
In questa parabola, la cui morale si rispecchia nella conclusione lieta del dramma, è contenuto il messaggio di tolleranza che Lessing intendeva trasmettere ai suoi lettori e spettatori. I tre anelli rappresentano, com’è evidente, le tre grandi religioni monoteistiche e i tre fratelli, incapaci di accordarsi su quale sia l’unico anello vero, sono i fedeli più fanatici, che non sanno andare oltre le differenze storiche e culturali del proprio credo.
Per Lessing, il valore dell’essere umano non dipende dalla forma storicizzata della propria fede, ma dalla qualità della sue azioni e dal rapporto che è in grado di instaurare con ogni altro essere umano, indipendentemente dalle differenze di cultura, religione o nazionalità.
Lessing invita la gente del suo tempo alla tolleranza e questo invito, variamente accolto o rifiutato nel corso dei secoli, vive ancora oggi nell’arte e nella letteratura, che occasionalmente possono fungere da pulpito – proprio come avrebbe voluto Lessing – per trasmettere al pubblico un messaggio di umanità.
Il logo utilizzato come immagine in evidenza è stato creato dal grafico polacco Piotr Młodożeniec per una gara indetta dal Mots, museo d’arte contemporanea a Gerusalemme, che promuove il dialogo interculturale.
Maria Fiorella Suozzo
Fonti
Nathan il saggio, Lessing, Garzanti, introduzione a cura di Emilio Bonfatti
[1] Decameron, Prima giornata, novella terza
Breve storia della letteratura tedesca,