Aristofane fu considerato già nelle “didascalie” degli antichi il massimo autore di commedia antica. Ma cosa intendiamo per “antica”?
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La commedia “archaia”
A partire dall’epoca alessandrina, dopo circa mezzo millennio di letteratura greca, si iniziò a percepire la necessità di classificare i fenomeni, i generi, gli autori che l’avevano resa tanto grande, per facilitarne la comprensione.
Così nel Museo di Alessandria, la più grande biblioteca del mondo antico, si pensò bene di distinguere gli autori di commedia in base all’epoca in cui erano vissuti: da qui commedia “antica”, “di mezzo” e “nuova”. Aristofane fu inserito come autore principe di quella antica, anche se la sua produzione, molto lunga (circa cinquant’anni di lavoro!), sembra affacciarsi già verso nuovi gusti. È questo il caso del Ploutos.
Le “vecchie” commedie di Aristofane
La storia del Ploutos è parecchio interessante: scritta vent’anni prima dal commediografo, fu rimaneggiata e messa in scena solo nel 388 a.C., in un periodo di grande crisi per Atene. L’ombra macedone iniziava a percepirsi, e tutti i grandi politici o uomini di cultura bersaglio della satira di Aristofane erano morti: un Cleone, un Euripide, un Socrate non c’erano più, giganti straordinari punzecchiati dalla verve del commediografo, che, tuttavia, nel loro essere grandi e ambigui, avevano reso altrettanto grandi le commedie di Aristofane.
Tutto ciò, appunto, ha molti effetti sulla commedia: senza un contesto politico chiaro, senza personaggi a cui appigliarsi, di cui parlare, di cui fare, insomma, politica (nel senso greco del termine, cioè discutere di qualcosa di “comune”), cosa poteva restare della commedia antica, che solo e soltanto di polis aveva parlato fin ora?
Il vecchio modo di fare commedia, per Aristofane, era ben chiaro, e da sempre aveva caratterizzato le sue commedie, molto aperte alla partecipazione del pubblico: esse iniziavano infatti con un prologo, spesso rivolto agli spettatori; comprendevano un coro parlante, che parlava con essi e spiegava loro il senso e il significato della commedia; ma, soprattutto, prevedevano la parabasi, il momento più importante di tutto il dramma.
Il commediografo stesso, o il capocoro, compariva sulla scena e, interrompendo l’immedesimazione degli spettatori nella trama, spiegava da dove la commedia aveva tratto origine e si difendeva dagli attacchi dei detrattori. Era questo il cuore della commedia antica, che davvero la rendeva un momento di vita politica: lo scambio di opinioni e di accuse tra spettatori e drammaturghi, la discussione politikè, l’attacco allo strategòs di turno, tutte cose che rendevano la nostra Atene tanto caotica quanto esemplarmente democratica.
Le novità del Ploutos
Ma in un periodo in cui la stessa democrazia ateniese era in pericolo, la commedia dovette ridursi a semplice spettacolo di intrattenimento, privo di ogni pretesa più profonda, senza l’aspettativa di trovarvi un messaggio politico. Ecco, dunque, come appare ai nostri occhi il Ploutos: una commedia divertente, sì, ma ormai stanca, con un messaggio generale e universale sul valore della ricchezza, nulla di più.
Niente bersagli politici, niente accuse, niente satira: un valore filosofico appena percepibile sullo sfondo, che fa assomigliare questa commedia molto di più ad una futura di Menandro che alle passate di Aristofane. La parabasi dunque scompare, la parte dedicata al coro viene dimezzata, se non proprio eliminata, quando nei nostri manoscritti compare giusto la dicitura KOPOY (“parte del coro”), facendoci immaginare un intermezzo danzato e cantato, senza più recitazione.
Storia e cultura
È chiaro che come cambia la storia, così cambia la cultura, e questo flusso nessuno lo può bloccare. Tempo un cinquantennio e Atene sarà sotto il controllo di Filippo, una dominazione mascherata da finta democrazia, che avrà le sue conseguenze su tutto l’universo culturale della Grecia, privato della sua canonica libertà.
Dispiace pensare che uno “spirito libero” come Aristofane sia stato costretto a piegarsi ai nuovi gusti e ai rivolgimenti storici del quarto secolo, abbandonando completamente ciò che lo aveva reso davvero l’anima politica di Atene. Dall’altra parte, però, è comunque apprezzabile la sua poliedricità, il suo eclettismo, il saper creare tanto momenti di discussione quanto di intrattenimento, fare politica ma anche spettacolo.
Che si tratti, insomma, di un gigante come Socrate, di un politico sbruffone come Cleone, di un amico-nemico come Euripide, o più semplicemente del ben conosciuto dio Ploutos, la capacità di Aristofane di rendere immortali i suoi personaggi non cambia mai.
Alessia Amante