L’Elena è una tragedia di Euripide, appartenente all’ultima fase creativa del tragediografo e messa in scena nel 412 a.C. Rispetto alle precedenti produzioni, il dramma ha una particolarità: non è una tragedia vera e propria, in quanto prevede un lieto fine. Per questo motivo essa, insieme alle altre opere di Euripide caratterizzate da eguale conclusione, è definita “tragicommedia”: un dramma al limite tra la tragedia e la commedia.
Il mito di Elena nella letteratura greca
Elena, come si può dedurre dal titolo, tratta delle sfortunate vicende dell’eroina greca. A differenza del mito tradizionale, però, Euripide decide di schierarsi in difesa della donna, e propone una versione alternativa della sua storia.
Ella, sin dai poemi omerici, era stata additata come “la cagna”, causa della guerra di Troia, di tanti lutti, di morte e distruzione. Anche Alceo, nelle sue liriche, si era scagliato contro Elena, “causa di tutti i mali”. Saffo, contemporanea e conterranea di Alceo, era stata la prima a difenderla: Elena aveva solo soggiaciuto alle invincibili forze di Amore, aveva avuto il coraggio di affrontare il mare, abbandonare suo marito, entrare in terra straniera; non poteva essere rimproverata per aver ceduto alle forze ineluttabili del desiderio. Stesicoro, anche lui poeta lirico, scrisse una Palinodia in difesa di Elena. Anche Stesicoro, come Euripide, aveva scritto un’Elena; ma, accusandola come tutti gli altri poeti, fu colpito da cecità ad opera dei fratelli della donna, i Dioscuri, offesi da lui. Egli, così, corse subito ai ripari, e si corresse con una Palinodia (che significa proprio “testo che corregge un altro”), adottando una versione meno nota del mito di Elena, la stessa che impiegherà Euripide nella tragedia.
La trama dell’Elena
Elena, secondo la Palinodia e la trama dell’omonima tragedia euripidea, non è mai andata a Troia! Nella città straniera fu condotto un fantasma, non la vera Elena, che invece fu trasportata da Ermes in Egitto, presso il re Proteo. La guerra è stata fatta inutilmente, e tutti sono stati raggirati dal dio Ermes. Tuttavia, non è così semplice come sembra: Menelao crede che il fantasma sia la vera Elena, ed è adirato con lei per il suo tradimento; Elena in Egitto non se la passa bene, insidiata da Teoclimeno, figlio dell’appena defunto Proteo, che invece aveva sempre difeso e protetto la donna.
Nel frattempo, un messo si reca da Elena: ella sta aspettando invano il marito, dal momento che la sua nave è naufragata, e Menelao è morto. Elena, in preda alla disperazione, affossata dalla cattiva fama imputatele ingiustamente, senza più una speranza, senza più un consorte, pensa al suicidio, ma è dissuasa dal coro. La donna, così, decide di rivolgersi a Teonoe, sorella di Teoclimeno e sacerdotessa, che rassicura Elena dell’imminente arrivo di Menelao.
Menelao, infatti, ha fatto naufragio, ma non è morto, bensì è approdato proprio in Egitto! Nel tentativo di capire in che terra si trovi, egli decide di lasciare la presunta Elena (il fantasma!) in una grotta, in attesa di notizie. Quando si avventura in città, però, incontra Elena (questa volta la vera), e incredulo si chiede come ella abbia fatto ad uscire dalla grotta e recarsi lì. Un messaggero, contemporaneamente, annuncia a Menelao che la finta Elena è scomparsa dalla grotta. Solo allora l’eroe capisce ciò che è successo, e riabbraccia la vera consorte, che l’ha atteso finora senza tradirlo. I due progettano la fuga, ed escogitano un piano: Elena dirà a Teoclimeno di aver saputo che Menelao è davvero morto, e gli chiederà una nave per fare un sacrificio, necessario prima di risposarsi con lui. Ottenuta la nave grazie alla complicità di Teonoe, i due scappano via sull’imbarcazione, raggiunti dalle grida e dalle imprecazioni di Teoclimeno, placato solo alla fine dall’intervento dei Dioscuri ex machina.
Le “tragicommedie” e la fine della tragedia
La tragedia, come abbiamo anticipato all’inizio, è dunque una “tragicommedia”, la prima testimonianza per noi di “dramma ad intreccio”. I drammi ad intreccio rappresentano la produzione finale di Euripide, il quale col tempo tende a prediligere non più la tragedia classica, ma un tipo di dramma caratterizzato da equivoci, rivolgimenti di fortuna, riconoscimenti, lieto fine, divinità ex machina e così via. Tale tipo di dramma ha molto a che vedere con la futura Commedia Nuova menandrea.
L’attività finale di Euripide è stata variamente interpretata: se da un lato molti critici sottolineano la modernità di Euripide, capace addirittura di anticipare i caratteri della futura Commedia Nuova, è innegabile dall’altra parte il profondo rivolgimento che il tragediografo effettua, allontanandosi fortemente dalla prima produzione e dalle opere dei suoi predecessori. Le “tragicommedie”, pur mantenendo una forte riflessione sui personaggi, un grande approfondimento di alcuni concetti filosofici, e una grande attenzione nei confronti dell’emozione umana, rappresentano un prodotto non più inquadrabile nelle antiche categorie: quel misto indefinibile che indurrà Nietzsche a definire Euripide l’estremo tragediografo e “il distruttore stesso della tragedia”.
Alessia Amante