È classico ciò che persiste come rumore di fondo anche là dove l’attualità più incompatibile fa da padrona, scrive Italo Calvino su L’Espresso il 28 giugno del 1981. Rumore di fondo, sì, ma pur sempre percepibile da tutti coloro che abbiano la sensibilità di stare ad ascoltarlo e di riconoscerlo nel brusìo scomposto dell’attualità: un classico è per la vita, potremmo dire. Prendiamo le mosse da questa riflessione per affrontare un tema molto discusso, che sia in un’aula di scuola superiore, in un dipartimento di lettere e filosofia o semplicemente in un gruppo di lettura: che cosa significa dire che un libro è un “classico”? Come lo si definisce e perché leggerlo?
Per tentare di rispondere a queste domande interpelleremo due grandi nomi del Novecento: uno è, come già anticipato, Calvino; l’altro è Hans-Georg Gadamer, filosofo tedesco padre dell’ermeneutica contemporanea.
Indice dell'articolo
Gadamer: che cos’è un classico?
Verità e metodo
Pubblicato nel 1960, “Verità e metodo” di Gadamer è uno dei testi cardine dell’ermeneutica del ‘900. Il testo parte dalla riflessione sulle differenze costitutive tra materie umanistiche e materie scientifiche, che in tedesco si chiamano Naturwissenschaften e Geisteswissenschaften (letteralmente “scienze della natura” e “scienze dello spirito”).
Se alla base delle scienze della natura sta un metodo rigoroso, logico e progressivo, che implica un continuo – seppur complesso e non necessariamente costante – miglioramento delle tecniche e dei risultati ottenuti, non vale altrettanto per le scienze dello spirito. Ciò significa che, se nelle scienze della natura il progresso è sempre preponderante rispetto alla tradizione, nelle scienze dello spirito la voce del passato resta invece sempre viva e feconda.
Per Gadamer, la scienza non copre tutto il campo della comprensione umana. Il fenomeno della comprensione, che per il filosofo tedesco è universale – “il fenomeno del comprendere impronta di sé tutti i rapporti dell’uomo col mondo”, scrive nell’introduzione – non è “una costruzione concettuale che si sviluppa concettualmente da principi, ma il proseguimento di un accadere che ha origini remote”.
Alla base della teoria ermeneutica di Gadamer sta quindi questo “accadere di origini remote“, ossia l’ineliminabile appartenenza dell’uomo che comprende al proprio tempo e agli effetti che il tempo, attraverso la tradizione, ha impresso sulla ricezione di un’opera (è quel che Gadamer chiama “storia degli effetti”).
Riprendendo Heidegger, Gadamer pone la storicità come fondamento della comprensione; a tale storicità appartengono anche i concetti di autorità e tradizione, la cui analisi ci porterà alla definizione di classico.
L’autorità e la tradizione
Dall’Illuminismo in poi, il termine “pregiudizio” è stato sempre percepito come qualcosa di esclusivamente negativo. Possiamo quindi domandarci se esistano anche pregiudizi legittimi: come potremmo conoscere un qualsivoglia oggetto (in questo caso stiamo parlando di un testo letterario) senza avere un pre-giudizio, ossia un pensiero pregresso, sul testo in questione?
Nell’ermeneutica, dunque, il pregiudizio svolge un ruolo primario, in quanto rappresenta le conoscenze che la persona ha del testo prima di affrontarne la lettura. Nel caso di un classico della letteratura, ossia di un testo che si è studiato a scuola e di cui, verosimilmente, si sente parlare da prima di avere intenzione di leggerlo, il pregiudizio è ineliminabile: è esso stesso prodotto dalla tradizione di cui il classico fa parte.
Secondo Gadamer, l’autorità attribuita a tale tradizione non è qualcosa che subiamo passivamente, ma che decidiamo volontariamente di perpetuare: c’è una “ragione” nella tradizione, una volontà di conservazione che non è meno libera del sovvertimento e del rinnovamento: la differenza sta solo nel suo non essere appariscente, per cui il progetto del nuovo sembra l’unico modo di operare della ragione. Ma noi siamo costantemente dentro a delle tradizioni: la tradizione è un momento costitutivo della comprensione.
Il classico e il suo rapporto col tempo
Date tutte queste premesse, è chiaro che il classico sia per Gadamer parte integrante della tradizione che costituisce il bagaglio culturale dell’uomo. Esso è un perfetto esempio di autorità che viene riconosciuta volontariamente, che non s’impone con la forza, ma in virtù delle sue qualità e della sua capacità di dirci qualcosa nonostante la distanza temporale che ci separa da esso.
Il classico ha dunque un particolare rapporto con la temporalità: ciò che è classico è sottratto alla mutevolezza dello scorrere del tempo e al variare del gusto, ma è sempre immediatamente accessibile. Il classico è, dunque, contemporaneo ad ogni presente (a patto che si riesca ad approcciarvisi, e questo chiaramente non è così scontato, perché entrano in gioco fattori individuali ed emotivi che sono altrettanto ineliminabili).
Ciò che è classico è dunque bensì «fuori dal tempo», ma questa sua eternità è un modo proprio dell’essere storico.
Calvino: perché leggere i classici?
Nel già menzionato articolo “Italiani, vi esorto ai classici“, Calvino propone un breve catalogo di definizioni e argomentazioni su cosa sia un classico: vediamone alcune.
4: d’un classico ogni rilettura è una lettura di scoperta come la prima.
E poi, subito dopo:
5: d’un classico ogni prima lettura è in realtà una rilettura.
Calvino e Gadamer
Queste due brevi riflessioni sintetizzano molto bene ciò che Gadamer sostiene in Verità e Metodo. Sembra quasi che Calvino stia parlando del circolo ermeneutico: siamo già sempre aperti ai significati del mondo che vogliamo comprendere, per cui leggere un classico significa ritrovare qualcosa (un’immagine, una sensazione) di cui avevamo già sentito parlare in precedenza e, contemporaneamente, rileggere significa anche essere continuamente aperti ad una nuova esperienza di lettura.
Sempre in Gadamer, infatti, è molto forte il concetto di esperienza (Erfahrung) dell’opera d’arte: un libro, al pari di uno spettacolo teatrale, non è un oggetto che ci venga posto innanzi, ma è un interlocutore e, come tale, ci pone una domanda: leggere significa instaurare una relazione, un dialogo. Ogni lettura è un’esperienza che ci arricchisce di nuovi significati.
Calvino approfondisce questi concetti nei punti successivi:
un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire. […] I classici sono quei libri che ci arrivano portando su di sé la traccia delle letture che hanno preceduto la nostra e dietro di sé la traccia che hanno lasciato nella cultura o nelle culture che hanno attraversato (o più semplicemente nel linguaggio o nel costume).
Sembra proprio ciò che Gadamer definisce storia degli effetti: l’inestricabile connessione di tutto ciò che si è detto di un libro, l’insormontabile distanza temporale tra l’epoca in cui viviamo e quella in cui il classico è stato scritto. Tale distanza non costituisce un limite, bensì una ricchezza: l’incontro tra noi e il libro non avviene colmando tale distanza, ma anzi in virtù ad essa: la mia lettura sarà sempre altra rispetto alla lettura fatta da un’altra persona in un altro tempo.
Gadamer direbbe che non si tratta di “capir meglio” (magari rispetto ad un lettore contemporaneo all’autore), ma di “capire diversamente”.
Conclusioni
Calvino conclude l’articolo in maniera un po’ sorniona, sostenendo che la sola ragione che si può addurre è che leggere i classici è meglio che non leggere i classici.
Da parte nostra, possiamo avanzare qualche motivazione un po’ più articolata, anche se forse meno efficace: se i classici sono un rumore di fondo, leggere un classico può significare tendere l’orecchio, imparare ad andare in profondità, cogliere le note più recondite e nascoste di una tradizione (che sia della nostra cultura o di una cultura straniera).
E se, come scrive Gadamer, il comprendere non è mai solo un atto riproduttivo, ma anche un atto produttivo, ogni lettura di un classico potrà dare vita a una nuova produzione di senso: nella (ri)lettura di un classico c’è sempre la possibilità di una nuova esperienza.
Maria Fiorella Suozzo
Bibliografia
Verità e metodo, Hans-Georg Gadamer, a cura di Gianni Vattimo, Bompiani
Italiani, vi esorto ai classici, Italo Calvino, «L’Espresso», 28 giugno 1981, pp. 58- 68