Eracle è senza dubbio l’eroe greco più famoso. Da sempre protagonista di qualsiasi opera che parli del mondo ellenico, fu al contrario poco presente nel teatro tragico greco e latino. Gli unici due autori di cui restino drammi su Eracle sono Euripide sul fronte greco e Seneca su quello latino.
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L’Hercules furens
La trama originale dell’Hercules furens è, chiaramente, quella di Euripide. Il tragediografo, sempre così attento alla psicologia dei personaggi e concentrato ad analizzare gli effetti del thumòs che si agita dentro ciascuno di noi, fu il primo a mettere in scena uno dei momenti più scabrosi del mito di Eracle.
L’eroe, da sempre odiato da Era in quanto frutto del tradimento di Zeus con Alcmena, è impegnato negli Inferi per la sua ultima fatica, quella col cane Cerbero. Lico, approfittando dell’assenza di Eracle, cerca di insidiare Megara, moglie dell’eroe, minacciando di morte lei e i suoi figli. Eracle riesce sorprendentemente a risalire dagli Inferi in tempo, salvando così moglie e figli: preso dall’ira, uccide brutalmente Lico.
La follia di Eracle
Era, però, non può sopportare che il “figliastro” abbia superato tutte le prove indenne: decide, così, di farlo impazzire. Manda sulla terra Iris, la messaggera degli dei, e Lyssa, la personificazione della follia, col compito di privare l’eroe del senno. Lyssa entra in scena dichiarando il suo disappunto, perché non crede che l’eroe meriti un destino tanto tragico. La volontà degli dei, tuttavia, non può essere elusa. Eracle, senza più senno, vive una notte senza fine: credendo di avere davanti i figli di Euristeo, suo nemico che gli aveva imposto le fatiche, uccide senza pietà i propri figli, e si rende assassino anche della moglie Megara.
Atena, intervenuta per salvare almeno la dignità dell’eroe, lo incatena alle colonne del suo palazzo, e lo fa addormentare. Al suo risveglio, Eracle non ricorda più nulla, ma vede davanti a sé i cadaveri delle persone a lui più care. Preso dallo sconforto, pensa al suicidio, ma viene dissuaso dal re di Atene Teseo, il quale gli insegna che l’amicizia vera può curare anche le ferite più sanguinose.
Da Atene a Roma
La tragedia, sconvolgente per la brutalità degli eventi, provocò molto dibattito ad Atene, e rimase uno dei drammi più discussi. L’unico autore che ebbe il coraggio di riprendere la tragedia euripidea fu Seneca. Il filosofo, interessato alle riflessioni di Euripide per la sua ascendenza stoica, ritenne l’Hercules furens molto adatto per discutere un tema al centro dello stoicismo imperiale: il suicidio.
La soluzione del mito greco era molto diversa da quella che Seneca scelse anche per sé, ma aveva al centro il tema dell’amicizia, che lo stoicismo accoglieva molto. Di fronte ai drammi e alla sofferenza della vita, tanto l’epicureismo quanto lo stoicismo proponevano come rimedio la philìa, l’amicizia basata sulla condivisione dei precetti filosofici. Seneca, a differenza di Euripide, annunciava subito nel prologo la pazzia di Eracle e i suoi assassinii, per permettere al coro di sviluppare le proprie riflessioni lungo tutto il corso della tragedia.
Eracle nel teatro
Un problema, però, resta. Perché Eracle è così poco rappresentato nella tragedia? Come abbiamo annunciato già nel trattare l’Alcesti di Euripide, Eracle era protagonista soprattutto dei drammi satireschi, ed era rappresentato solitamente come un mangione e un ubriacone.
Il punto è che la figura di Eracle era così centrale e radicata nella cultura greca, che nessun tragediografo osò affrontarla “seriamente”. Trattare la figura di Eracle, in tutta la sua importanza, era essa stessa una “fatica”. Era molto più semplice insistere sugli aspetti comici dell’eroe, burlandosi della sua passione per il cibo e per il vino. Euripide fu il primo a tentare la grande impresa di rappresentare l’Eracle tragico, e affrontando il tema del suicidio suscitò grande clamore ad Atene. Seneca, vissuto in una Roma in cui i suicidi politici erano all’ordine del giorno, non poteva non seguirlo.
Il tema del suicidio
Quel che colpisce di più nell’Hercules furens è senza dubbio la delicatezza con cui Euripide e poi Seneca affrontano la tematica del suicidio. Teseo, rivolgendosi ad un Eracle in balia del dolore, gli suggerisce che il vero coraggio non è di chi affronta la morte, ma di chi resta in vita e combatte la propria sofferenza.
In questo modo Euripide ribalta totalmente la morale tradizionale omerica: qualsiasi eroe mitico davanti ad un atto così scabroso, compiuto dalle proprie mani, avrebbe scelto la morte. Anche Aiace era stato rappresentato da Sofocle in questa dura ma necessaria decisione: nella cultura di vergogna, il suicidio è l’unica strada per salvare la propria dignità.
L’alternativa: l’amicizia
Euripide, invece, propone un’alternativa: è l’amicizia vera a salvare dal dolore. Teseo si rivolge così ad Eracle, per rassicurarlo:
“Nessuno dei mortali immune è da sciagura, e nessuno degli Dei, se pur non mentono i racconti dei poeti. Essi non strinsero nozze fra loro che nessuna legge approva? […] Eppur, dimora hanno in Olimpo, ed è per essi lieve delle colpe il rimorso. E che dirai se tu, nato mortale, intollerante ti mostri alle sciagure, e i Numi no? […] La salvezza ch’ebbi da te, compensi questa grazia mia. Ché ora d’amici hai bisogno. Allor che i Numi t’accordano favore, a nulla servono gli amici. Basta, quando vuole, un Dio.”
Eracle, stremato dalla sofferenza, decide di seguire il re ateniese, ma prima di uscire dalla scena si concede solo queste parole:
“Seguo Tesèo. Chi preferisce l’oro e la ricchezza ai buoni amici, è folle.”
Alessia Amante