Quello sull’eternità del mondo fu uno dei più grandi dibattiti del Medioevo, quali erano le posizioni in campo? Come la pensava Tommaso d’Aquino? E cosa c’era davvero in gioco?
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Creazione ed eternità
Quella della creazione era una verità di fede centrale dei tre monoteismi. Nella cristianità, in particolare, l’idea che il mondo fosse stato creato da Dio in principio temporis trovava un fondamento nella Bibbia stessa. Il libro della Genesi, infatti, descriveva una creazione ex nihilo. Anche i Padri della Chiesa avevano dovuto affrontare il tema dell’eternità in contrapposizione alla filosofia pagana che, invece, quando non rifiutava il concetto di creazione, ne sosteneva comunque l’eternità.
Cioè il mondo, creato o meno, non aveva avuto inizio e non avrebbe avuto fine. In particolare Agostino, sempre fortemente attratto dal Libro del Genesi, alla cui interpretazione dedicò vari scritti, aveva difeso la creazione come verità di fede e insieme di ragione. Fu così che per secoli la tesi della creazione dominò incontrastata, anche per lo stabilirsi di facili equazioni fra «creato» e «temporale» ed «eterno» e «increato».
Il dibattito medievale sull’eternità del mondo
Tuttavia l’ipotesi dell’eternità del mondo tornò alla ribalta fra il XII e il XIII secolo, generando uno dei più grandi dibattiti della filosofia medievale. Furono infatti questi gli anni delle grandi traduzioni che restituirono alla cultura occidentale, seppur in parte, il patrimonio filosofico degli antichi. Le opere più tradotte furono quelle di Aristotele, la cui filosofia offriva una concreta immagine del mondo sia dal punto di vista fisico sia da quello cosmologico.
Filosofia aristotelica e fede cristiana
Era quindi una delle migliori guide che il tempo potesse offrire per la rinascita della filosofia naturale. Inoltre si basava su delle idee che sembravano accordarsi con la teologia cristiana, basti pensare al concetto di motore immobile che risultava facilmente identificabile con Dio. Ma la filosofia aristotelica presentava anche aspetti più inquietanti e potenzialmente eversivi per la fede, motivo per cui Aristotele – dopo un iniziale entusiasmo – fu guardato con crescente sospetto nel mondo islamico, tanto da compromettere lo sviluppo della filosofia naturale. Uno di questi era, per l’appunto, l’eternità del mondo.
L’eternità del mondo nel corpus aristotelico
Per il lettore moderno può sembrare strano pensare al mondo come a qualcosa di eterno. La scienza moderna, infatti, ha mostrato che tutti i fenomeni hanno una durata temporale; ormai anche secondo il senso comune tutto ciò che ha inizio ha anche fine. Invece, nel sistema aristotelico, era molto facile pensare a una mancanza d’inizio del mondo.
Aristotele, infatti, aveva immaginato il cosmo come un immenso sistema di sfere, in cui la Terra si trovava al centro pur essendo la sede dei fenomeni inferiori. La Terra era il luogo del disordine, caratterizzata dai continui processi di generazione e corruzione dei quattro elementi empedoclei (acqua, terra, aria, fuoco).
I corpi celesti erano invece il regno dell’ordine, essendo composti di un quinto elemento del tutto diverso da quelli terrestri: l’etere. Esso era per sua natura eterno ed immutabile, quindi non sottoposto a processi di generazione e corruzione. Per questo, secondo Aristotele, nel cielo non erano mai stati notati cambiamenti.
La condanna del 1277
Nel 1277 il vescovo di Parigi Tempier sferrò un duro attacco all’aristotelismo presentandolo come una minaccia per la verità di fede. Non stupisce che su 219 articoli ben 48 fossero dedicati alla condanna degli argomenti a favore dell’eternità del mondo.
I teologi della commissione censoria, con una lettura approssimativa e parziale dei testi incriminati, attribuirono ai cosiddetti averroisti tesi che essi non avevano mai affermato come verità dimostrate ed addirittura “errori” che avevano esplicitamente rifiutato e confutato. A filosofi come Boezio di Dacia ed Egidio Romano veniva rinfacciata un’empietà mascherata dietro la dottrina della “doppia verità” che credevano di scorgere nel loro naturaliter loquendo.
In realtà quello che preoccupava di più era l’esplicita teorizzazione del superamento della concezione ancillare della filosofia rispetto alla teologia. L’autonomia della filosofia era però nella pratica già largamente diffusa anche fra i teologi e solo negli ambienti più conservatori – pur ammettendo la distinzione fra ordine naturale e ordine soprannaturale – ci si rifiutava di riconoscerla in nome dell’unità organica del sapere e del primato della teologia.
La soluzione agnostica di Tommaso d’Aquino
San Tommaso, uno dei maggiori esponenti della scolastica, tornò ripetutamente sull’argomento dell’eternità del mondo, dando al dibattito un contributo decisivo. Per il maestro domenicano il problema era irrisolvibile, almeno allo stato delle conoscenze allora disponibili.
Fatto salvo il dogma della creazione – che per Tommaso d’Aquino era anche una semplice verità di ragione – l’Aquinate fornì diverse dimostrazioni della compatibilità tra i concetti di “creato” e di “eterno”. Dio, infatti, avrebbe potuto creare il mondo ab aeterno, per questo Aristotele aveva sostenuto l’eternità del mondo. Dal punto di vista filosofico quest’ultima era quindi sostenibile, anche se per fede tutti i filosofi medievali sapevano che la creazione fosse avvenuta nel tempo.
Con lo sviluppo della posizione agnostica, consacrata nel De eternitate mundi (1271), Tommaso d’Aquino riuscì a salvaguardare il progetto di avvicinamento della filosofia aristotelica con la fede cristiana. Infatti, Aristotele veniva difeso su entrambi i fronti: su quello della fede perchè il suo sistema non era basato su elementi inaccettabili per la fede; su quello della ragione perchè il Filosofo per eccellenza veniva scagionato dall’accusa di aver sostenuto una tesi contraria alla ragione. La successiva canonizzazione dell’Aquinate depotenziò definitivamente la condanna del 1277 e i tentativi di estromettere la filosofia aristotelica come un elemento estraneo.
Ettore Barra