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Lotta per il trono: Tiresia e i Sette contro Tebe
La storia di Tiresia – Dopo l’esilio di Edipo a Colono, il trono di Tebe venne assunto in reggenza da ambo i figli Eteocle e Polinice.
I due strinsero un accordo ad anni alterni, ma Eteocle, alla scadenza del suo mandato, si rifiutò di consegnare il trono al fratello che fu bandito per sempre dalla città.
Polinice trovò asilo ad Argo presso il re Adrasto e quivi si accordò con altri re per muovere guerra contro Tebe. Da lì a poco, si mossero sette potenti eserciti tanti quante sono le porte di Tebe con a capo il re Adrasto in groppa al suo fido destriero Arione, nato dall’unione tra Poseidone e Demetra.
Arrivato sul monte Citerone, Adrasto mandò Tideo in veste di supplice al re Eteocle, ma questi gli mandò contro i migliori campioni che aveva a disposizione, ma caddero tutti sotto i colpi della sua spada.
I sette eserciti così avanzarono inesorabilmente andandosi a posizionare ognuno ad una porta verso la città mandando nel panico sia la popolazione che lo stesso Eteocle il quale consultò Tiresia che gli predisse che per vincere la guerra occorreva sacrificare un nobile di sangue reale ad Ares.
Meneceo, figlio di Creonte, si sacrificò per la causa tebana, e poi, inseguito alla sfida lanciata da Capaneo a Zeus una volta raggiunto Porta Elettra e quindi fulminato, l’esercito tebano prese coraggio e vitalità e li sconfissero facilmente ad eccezione di Polinice il quale si ritrovò a Settima Porta contro Eteocle e si diedero morte reciproca.
Da quella spedizione si salvò solo Adrasto in groppa al suo fido Arione si rifugiò a Colono.
Creonte così salì al potere e decretò la sepoltura solo al legittimo re Eteocle a danno del traditore Polinice che lo condannò a morire divorato dagli animali contro la volontà di Antigone. La donna, ignorando così gli ordini del sovrano, gli diede degna sepoltura suscitando le ire di Creonte che la fece murare viva.
Anfitrione ed Alcide: nascita del più grande eroe della Grecia
Un giorno alle porte di Tebe, bussarono due persone, un uomo ed una donna chiamati Anfitrione ed Alcmena ed erano imparentati con Elettrione sovrano di Micene.
I due erano esiliati perché, a seguito di una lite, Anfitrione uccise il sovrano ed il fratello, assunto la reggenza, né decretò l’espulsione.
Creonte lo prosciolse da ogni accusa e gli diede i mezzi necessari per riconquistare il trono perduto.
Anfitrione così partì per Micene e nel frattempo Zeus si unì con Alcmena sotto le sembianze del marito. Poco dopo, il marito ritornò vittorioso a Tebe, ora, notando lo strano comportamento della moglie, consultò Tiresia il quale gli rivelò il piano divino accettandone il responso a malincuore.
Dopo nove mesi nacquero Ificle ed Alcide (nome di battesimo di Eracle). Anni avanti, verso la maggiore età di Alcide, Tebe mosse guerra contro I Mini di Orcomeno. Padre e figlio parteciparono alla spedizione e vinsero la guerra seppur con la perdita di Anfitrione.
Al ritorno a Tebe, Alcide ebbe in sposa Megara, la figlia di Creonte ed ebbero due figli. Venuta a conoscenza della presenza di Alcide, ennesimo figlio di un marito infedele, Hera lo fece impazzire e nel suo raptus di follia uccise Megara ed i figli condannandolo all’esilio.
La vendetta è servita: gli epigoni e la morte di Tiresia
Tersandro, il figlio di Polinice si riunii con i figli dei “Sette contro Tebe” ed insieme organizzarono una seconda spedizione contro l’odiata città.
Tiresia predisse che la città sarebbe rimasta in piedi solo se il superstite della precedente spedizione, ovvero Adrasto, sarebbe sopravvissuto tanto a lungo quanto questa guerra.
Durante lo scontro però Egialeo, il figlio di Adrasto, perse la vita e viceversa anche il padre colto da malore (il vecchio re figura tra i partecipanti).
Tiresia così invitò la gente a lasciare le loro case e scappare in quanto la città è condannata al sacco. La gente così seguì il vecchio indovino a nord della Beozia e li condusse in una nuova terra dove venne fortificata una nuova città di nome Estiea.
Dopo poco tempo, l’indovino si ritrovò vicino ad una fonte per dissetarsi e quivi morì forse per indigestione dato che l’acqua era molto fredda.
Odissea: Ulisse incontra Tiresia
Uomo infelice, perché del sole abbandonati i raggi, le dimore inamabili de’ morti scendesti a visitar? Da questa fossa ti scosta, e torci in altra parte il brando, sì ch’io beva del sangue, e il ver ti narri”.
Queste parole disse Tiresia ad Odisseo sceso negl’Inferi grazie a Circe affinché conosca il futuro che lo attende e per sapere se egli ritornerà mai a casa per riabbracciare la moglie Penelope ed il figlio Telemaco.
Bevuto il sangue dell’agnello sacrificato, Tiresia disse queste parole:
…E ancor che morte tu schivassi, tardo fora ed infausto, e senza un sol compagno, e su nave straniera, il tuo ritorno. Mali oltra ciò t’aspetteranno a casa: protervo stuol di giovani orgogliosi, che ti spolpa, ti mangia; e alla divina moglie con doni aspira. È ver, che a lungo non rimarrai senza vendetta. Uccisi dunque o per frode, o alla più chiara luce, nel tuo palagio i temerari amanti, prendi un ben fatto remo, e in via ti metti: né rattenere il piè, che ad una nuova gente non sii, che non conosce il mare, né cosperse di sal vivande gusta, né delle navi dalle rosse guance, o de’ politi remi, ali di nave, notizia vanta … a poco a poco da muta vecchiezza mollemente consunto, una cortese sopravverrà morte tranquilla, mentre felici intorno i popoli vivranno. L’oracol mio, che non t’inganna, è questo”.
Bibliografia:
Marco Parisi
- Karoly Kerenyi, Gli dei e gli eroi della Grecia, Il Saggiatore
- Robert Graves, I miti greci, Longanesi e C.
- Eschilo, I Sette contro Tebe
- Odissea, Libro XI, versi 124-129 e v.134 e ss., KeyBook Editore