Nel racconto di Edgar Allan Poe William Wilson assistiamo ad uno sdoppiamento di personalità e al doppio come presenza ossessiva. Da qui in poi la letteratura ci offrirà tante storie sul tema del “doppio”, sia in forma di sfacelo morale che di disgregazione dell’io.
Edgar Allan Poe iniziatore della doppia personalità
L’attività di narratore di Edgar Allan Poe (Boston, 19 gennaio 1809 – Baltimora, 7 ottobre 1849), anche se resa difficile da continue difficoltà economiche e dalla sua tendenza alla dissipazione e alla sregolatezza, fu molto intensa.
Poe fu un profondo indagatore delle tensioni psicologiche individuali, dell’angoscia e del terrore, e creatore di originali situazioni narrative in cui vengono anticipate tematiche che troveranno in seguito in Europa terreno più adatto al loro sviluppo. La nuova sensibilità decadente, che si andava diffondendo nel secondo Ottocento, riconobbe in Poe, accanto a Charles Baudelaire, uno dei suoi principali ispiratori.
Il racconto “William Wilson” (1839) non rientra nella tipica atmosfera macabra di Poe, ma si rivela altrettanto singolare e significativo: è infatti il primo nella storia della letteratura moderna a rappresentare in termini consapevoli uno sdoppiamento di personalità.
I due personaggi che dominano la storia, identici fisicamente ma contrari per atteggiamento interiore, non sono che la scomposizione dei due aspetti opposti della coscienza di un unico protagonista che, lottando contro l’altro, lotta in realtà con se stesso e contro le proprie angosce e paure.
“Mi sia concesso, per il momento, di chiamarmi William Wilson. La pagina ancora vergine che mi sta davanti non dev’essere insudiciata dal mio vero nome, che troppo spesso è stato oggetto di disprezzo ed orrore, abominevole per la mia famiglia.”
Il racconto apre la strada a tutta la lunga serie di opere che, nel corso dell’Ottocento e oltre, da Stevenson a Wilde, a Dostoevskij a Conrad, hanno trattato questo tema che continua ad essere particolarmente sentito anche nella cultura contemporanea.
Il racconto è scritto in prima persona, come gran parte di quelli di Poe; il narratore ripercorre la propria vita, sempre accompagnata dalla presenza ossessiva di uno strano individuo che porta il suo stesso nome, gli assomiglia come un gemello, si veste alla stessa maniera e ne imita persino il portamento e la voce. L’indagine dell’io è condotta da Poe con estrema penetrazione psicologica, senza mai concedere tregua al protagonista: quando, alla fine, egli ucciderà lo scomodo personaggio, si accorgerà con orrore di aver ucciso la parte migliore di se stesso.
“Il duello non fu lungo… In pochi secondi lo ridussi contro la parete, e così, avendolo a mia discrezione, a più riprese gli immersi con brutale ferocia la spada nel petto… Ma quali parole potrebbero rendere lo stupore, lo spavento che s’impossessarono allora di me? L’attimo in cui mi ero voltato verso la porta era bastato a produrre, così pareva, un mutamento nella disposizione dei mobili in fondo alla stanza. Dove prima non c’era che il legno della parete vedevo adesso, nel mio turbamento, uno specchio enorme; e siccome terrorizzato mi avanzai verso di esso, la mia immagine mi venne incontro, pallida in viso e coperta di sangue, con passo debole, malfermo… Egli era Wilson; ma era un Wilson che non bisbigliava più, parlando, e io avrei potuto credere di sentir parlare me stesso. — Tu hai vinto, — mi disse — ed io cedo. Ma tu pure, da questo momento, sei morto – sei morto al Mondo, al Cielo, alla Speranza! In me tu esistevi — e ora, nella mia morte, in questa mia immagine che è la tua, guarda come hai definitivamente assassinato te stesso.”
Il racconto è scritto in prima persona dal protagonista-narratore; la sua lucida e dettagliata analisi garantisce la veridicità delle vicende vissute e costituisce d’altra parte l’unico punto di vista a disposizione del lettore, costretto ad affidarsi completamente alla sua voce e alla sua testimonianza. Poe fa ripercorrere cronologicamente al protagonista, dall’adolescenza alla maturità, le fasi determinanti della sua vita, che a volte si riferiscono alla biografia dello stesso autore.
L’analisi interiore in William Wilson
Lo spazio dell’azione è prevalentemente quello interiore della coscienza, da cui scaturiscono il tono aperto della confessione e l’esame analitico dei meccanismi psicologici che determinano la rivalità e allo stesso tempo l’attrazione dei due William Wilson.
“Era questi uno scolaro che, senza essermi legato da alcuna sorta di parentela, portava il mio stesso nome di battesimo, e il mio stesso nome di famiglia; circostanza in sé poco notevole, poiché il mio, malgrado fossi di nobile origine, era uno di quei nomi comunissimi che, come per diritto di prescrizione, sembrano essere stati dal tempo dei tempi di pubblico dominio. Perciò in questo racconto ho assunto il nome di William Wilson, fittizio, ma non troppo lontano dal vero.”
La descrizione esterna dell’ambiente ha un rilievo inferiore nell’economia del racconto e viene utilizzata in funzione dello stato d’animo del protagonista. I due Wilson sono in effetti, seppur sdoppiati, un personaggio unico, i due aspetti opposti e necessari di una stessa personalità.
Gli elementi di somiglianza esterna, come la coincidenza dei dati anagrafici e somatici prima, del comportamento poi, aumentano progressivamente fino all’identificazione dei due individui sul piano fisico, che prepara il terreno per la totale dissociazione sul piano morale, che emergerà poi dal racconto.
Elementi particolarmente significativi come l’assoluto dominio della scena da parte dei due Wilson, delle cui schermaglie nessuno sembra accorgersi, oppure come la lampada con cui il protagonista osserva l’altro se stesso, forniscono una chiave di lettura della vicenda in direzione simbolica: la lampada nelle sue mani, come nell’Anfitrione di Plauto getta una luce rivelatrice sulla parte oscura della propria coscienza.
“Avanzai d’un passo ed avvertii il suono del suo respiro tranquillo. Assicuratomi così ch’egli era profondamente addormentato, tornai alla porta, presi su la lampada e con essa in mano mi avvicinai di nuovo al letto. Le cortine erano chiuse; le scostai dolcemente, piano piano, per effettuare il mio disegno, ma la luce viva della lampada cadde in pieno sul dormiente, sicché i miei occhi si fermarono un momento sulla sua fisionomia. Lo guardai; e mi sentii intirizzire, divenire sull’istante di ghiaccio in tutto il mio essere. Il cuore mi sussultò, le ginocchia mi vacillarono, e un insopportabile, inesplicabile orrore mi prese l’anima. Respirando convulso avvicinai ancor più la lampada alla sua faccia. Erano quelli, erano proprio quelli i lineamenti di William Wilson? Vedevo si ch’erano i suoi, eppure tremavo, come in un accesso di febbre, immaginandomi che non erano i suoi. Cosa c’era in essi da confondermi fino a tal punto? E lo contemplavo, e mi sentivo roteare il cervello sotto l’azione di mille pensieri incoerenti”
Al centro dell’interesse del racconto di Poe è l’analisi interiore: il linguaggio è pertanto essenzialmente riflessivo, di tono alto, e si snoda in periodi piuttosto complessi ed elaborati con grande precisione nelle scelte lessicali. Tuttavia, nei momenti culminanti, il periodo si frantuma in frasi brevi, che sottolineano l’intensità emotiva del protagonista.
L’autore porta continue argomentazioni per convincere il lettore dell’assoluta veridicità della vicenda, pur essendo consapevole del fatto che essa può sembrare incredibile o quanto meno anomala. È questa una delle caratteristiche costanti di Poe: trattare situazioni assurde o allucinate con perfetto controllo razionale.
Maurizio Marchese
Fonti:
Edgar Allan Poe, Tutti i racconti, le poesie e Gordon Pym, Grandi Tascabili Economici Newton, Roma, 1992
Edgar Allan Poe, Racconti, Feltrinelli, Milano, 1970.
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