I Persiani di Eschilo viene rappresentata come prima tragedia di una trilogia che comprendeva Fineo, Glauco e il satiresco Prometeo accenditore del fuoco. Il tragediografo fu testimone di eventi decisivi che coinvolsero la città di Atene: la fine della tirannia dei Pisistratidi e l’instaurazione della democrazia. Partecipò alle guerre persiane, combattendo nell’esercito a Maratona. Dopo la rappresentazione dei Persiani fu inviato alla corte di Ierone; poi tornò in patria, ma dopo la rappresentazione dell’Orestea, si trasferì in Sicilia, a Gela, dove morì.
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La vicenda dei Persiani
La scena è ambientata a Susa, capitale dell’impero persiano. Entra un coro di vecchi: sono gli uomini superstiti, poiché Serse ha condotto tutto il suo esercito a combattere in Grecia. Sopraggiunge Atossa, madre di Serse e vedova del re Dario; è lei a evocare dall’Ade l’ombra del defunto re e pronuncia un severo giudizio contro Serse, colpevole di smisurata superbia.
Un messaggero riferisce che la flotta persiana è stata annientata dagli Ateniesi nella battaglia di Salamina. Il mare è coperto di cadaveri e di relitti, la guerra è perduta. Serse è vivo, ma è sconfitto e umiliato.
La doppia prospettiva di Eschilo
L’aspetto innovativo della tragedia di Eschilo, che diviene un exemplum nel panorama tragico, è la scelta di inquadrare un dramma nella prospettiva dei nemici e degli sconfitti, rinunciando a rappresentare l’uomo persiano come un barbaro da deridere o da odiare.
La voce di Eschilo si leva ad innalzare il ruolo egemonico che la potenza Ateniese aveva assunto tra le città greche, ma anche a commiserare la sconfitta dei Persiani, un popolo sofferente per la colpa del proprio capo, di cui la popolazione è costretta a espiare le sue colpe.
Il progetto di un capo persiano
Serse eredita il progetto paterno di annientamento della potenza greca, scatenando l’esercito e la flotta persiana. Fa costruire il celebre ponto di barche, per permettere all’esercito di attraversare l’Ellesponto, e un canale navigabile a nord del mondo Athos.
La sua flotta viene sconfitta a Salamina, l’esercito messo in fuga a Platea; con la battaglia di Micale si chiude il conflitto fra Greci e Persiani. Serse, rinunciando al suo progetto , in seguito muore in una delle congiure di palazzo.
Il barbaro: testimonianze e fonti
I Persiani, nella tragedia eschilea, anche se in una nuova chiave di lettura, vengono presentati inevitabilmente come barbari. I greci utilizzano il termine βάρβαρος, che etimologicamente significa balbuziente. Parlare una lingua diversa dal greco significava essere incapaci di parlare.
Il barbaro rappresentava dunque una minaccia per la civiltà Ateniese, che non è pronta a spalancare le proprie porte alla diversità e a divenire una società cosmopolita, dove il diverso diviene una risorsa per la civiltà.
In ambito latino, il termine barbarus ha un’accezione talvolta negativa. Nel De bello Gallico, Cesare evidenzia la pericolosità dei Germani, che sono violenti e barbari.
[…]Riteneva che questi uomini violenti e barbari non si sarebbero trattenuti, una volta occupata tutta la Gallia, dal passare nella provincia romana e di lì in Italia. (De bello Gallico I,33)
Diversa è l’accezione che viene data al termine hostis, di radice indeuropea, che indica “lo stranierio che porta guerra”: il nemico. Cicerone, nella quarta Filippica, definisce hostis come colui “contro il quale sono state prese legittimamente le armi”, scagliandosi contro Antonio, coinvolto nella guerra contro Ottaviano. ( Philippica IV,1)
Eschilo presenta i Persiani non più come un nemico da scongiurare, ma ne evidenzia il loro aspetto umano, pur rappresentando una fazione avversa. Il poeta prova compassione verso un popolo già predestinato alla sconfitta, che non riesce a giocarsi le carte giuste per vincere la partita.
La colpa di Serse: la ὕβϱις di un capo persiano
Eschilo inserisce la vicende in un contesto assai fosco e tetro, ove operano delle forze segrete e oscure: l’accecamento, che impedisce al capo persiano di scorgere il suo destino, cadendo nel baratro della sconfitta, e la prevaricazione, che attira la punizione divina.
Al centro del teatro eschileo è posto interrogativo sull’agire dell’essere umano, sulla sua sofferenza e se questa condizione sia intrinseca alla specie umana oppure se derivi da un forza esterna.
A mettere in luce le motivazioni degli eventi umani, in relazione alla sfera della giustizia e del rapporto con la divinità, è lo spettro di Dario, padre di Serse, evocato dalla regina Atossa.
[…] E certamente, quando uno smania di agire ,anche il dio coopera; così ora si è scoperta la sorgente dei mali per tutti i miei cari.[…] E lui mortale si illuse nella sua stolidità di dominare Poseidone e i numi tutti.”( Trad. F. Ferrari)
La ὕβϱις di cui si è macchiato Serse non è diversa dalla colpa di qualunque eroe tragico; poiché egli è cieco di fronte ai limiti dell’agire umano e che porta con sé la punizione da parte degli dèi.
La legge degli dèi
Zeus, padre degli dèi, è garante di una nuova legge: la giustizia (δίκη). Tale forza spiega la causalità degli avvenimenti, apparentemente inspiegabile, che regola la colpa e la punizione.
La colpa di Serse è quella di valicare le leggi imposte dagli dèi, oltrepassando i limiti dell’essere umano. Ciò suscita l’invidia da parte della divinità (φθόνος τῶν θεῶν) , una divinità invidiosa del potere degli uomini e che, capricciosamente, decide di punire l’arroganza dell’uomo.
La condizione umana dell’essere vivente è la sofferenza. Attraverso il processo del dolore, l’uomo matura la propria conoscenza (πάθει μάθος; impara attraverso la sofferenza): è consapevole di una “norma alta” che governa il mondo , tramando alle spalle dell’uomo, impedendogli uno spiraglio a un suo possibile riscatto.
Michele Merolla