Il filosofo Charles-Louis de Secondat, barone di La Brede e di Montesquieu, tra i maggiori esponenti dell’Illuminismo francese, è considerato il principale teorico del Liberalismo moderno.
In una delle sue opere più importanti, Lo spirito delle leggi, scriveva:
Non c’è parola che abbia ricevuto maggior numero di significati diversi, e che abbia colpito gli spiriti in tante diverse maniere, come quella di libertà…
Sulla scia di Locke, il filosofo ritiene che la libertà sia un diritto naturale ed inalienabile di ogni individuo, che lo stato civile deve poter garantire ad ogni cittadino. Solo in un sistema moderato di governo, in cui “il potere arresti il potere” è possibile la realizzazione e la garanzia della piena libertà politica.
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Montesquieu, la divisione dei poteri
Lo strumento per realizzare la libertà politica è, per Montesquieu, la divisione dei poteri e la loro reciproca autonomia. Il filosofo distingue fra tre forme di governo – repubblica, monarchia, dispotismo – e tre forme di potere. Ognuno di essi corrisponde ad una specifica funzione:
Esistono in ogni Stato, tre specie di poteri: il potere legislativo, il potere esecutivo delle cose che dipendono dal diritto delle genti, e il potere giudiziario di quelle che dipendono dal diritto civile.
In base al primo potere, il principe o il magistrato può introdurre nuove leggi, e correggere o abrogare quelle già esistenti. Il secondo potere regola i rapporti fra politica interna e politica estera e concerne la sfera della pace e della guerra. Infine, il terzo potere è la facoltà di punire i delitti e giudicare le controversie private e pubbliche.
Governo e libertà politica
Non ci sarebbe libertà se tutti e tre i poteri fossero esercitati dalla stessa persona o, scrive il filosofo, dallo stesso gruppo sociale. Se il potere legislativo fosse unito al giudiziario, il giudice sarebbe, allo stesso tempo, il legislatore e potrebbe esercitare “la forza di un oppressore” sui cittadini. Se il potere esecutivo fosse unito al legislativo, si potrebbe temere che lo stesso monarca o lo stesso senato “facciano leggi tiranniche per attuarle tirannicamente”.
La libertà politica di un cittadino consiste, per Montesquieu, in quella tranquillità di spirito che proviene dalla convinzione che ciascuno ha della propria sicurezza. Dunque, è necessario che il governo sia organizzato in modo tale che nessun cittadino possa aver timore di un altro cittadino.
Politica, società e cultura: il caso della Gran Bretagna
Montesquieu vede attuato il principio della divisione dei poteri nella monarchia costituzionale inglese. Il potere legislativo è qui affidato al Parlamento, il potere esecutivo al sovrano e quello giudiziario ad una magistratura non soggetta alle strutture di comando dell’esecutivo.
Questo sistema politico liberale è il risultato di un compromesso politico-sociale fra aristocrazia, borghesia e monarchia inglesi, raggiunto dopo lunghi anni di lotte civili. Le vicende della glorious revolution inducono il filosofo ad un’analisi scientifica delle società occidentali e delle relazioni esistenti fra condizioni materiali e ordinamento politico di un Paese.
Montesquieu: la varietà delle legislazioni
Per Montesquieu, la varietà delle leggi dipende dal fatto che in ogni Paese fattori come il clima, il territorio, il costume, la religione, l’economia incidono in modo diverso nel determinare la legislazione.
Nei popoli in cui predomina il condizionamento della natura è diffuso il dispotismo. In Occidente, dove in quegli anni si faceva determinante il ruolo economico della borghesia, la forma di governo preferibile è quella in cui questa componente sociale gode di un adeguato riconoscimento politico.
Le ricerche del filosofo francese si inseriscono nell’alveo delle nascenti scienze di fine Settecento, fra cui l’antropologia, l’etnologia, l’economia politica. Queste discipline manifestano un rinnovato interesse per lo studio delle società e della relatività dei valori culturali dopo i viaggi e le esplorazioni del XV secolo.
Martina Dell’Annunziata
Bibliografia
Montesquieu, Lo spirito delle leggi, cap. XI, trad. it. Di S. Cotta, UTET, Torino 1952.