Dopo la morte di Cesare (44 a. C.) e la sconfitta dei cesaricidi Bruto e Cassio a Filippi nel 42 a. C., l’alleanza tra i restauratori dell’ordine a Roma, Ottaviano e Antonio, continuava a vacillare: con gli accordi di Brindisi del 41, al primo veniva affidato l’Occidente, al secondo l’Oriente. Durante le sue campagne orientali (41-34 a. C. ca.), Antonio aveva incontrato la regina del potente Egitto, Cleopatra, già amante di Cesare e madre del suo unico figlio naturale, Cesarione. Ormai legato a lei, in un’escalation di provocazioni a distanza con Ottaviano, diventava il padrone dei territori orientali di dominio romano, nell’immagine di un sovrano ellenistico e dispotico.
A Roma, Ottaviano alimentava la propaganda antiantoniana: il generale romano aveva tradito i valori della romanitas, ripudiando la moglie Ottavia e legandosi ad una sovrana barbara, soggiogato da quest’ultima a comportarsi come un despota orientale contro gli interessi di Roma. Con la sospensione della loro alleanza, Ottaviano, presentandosi come il difensore di Roma, dichiarava guerra alla sola Cleopatra, la vera nemica nelle mani della quale era caduto il valoroso generale romano Antonio.
In una Roma ormai esausta e macchiata del sangue delle guerre civili, la guerra contro l’Egitto veniva presentata come lo scontro definitivo tra l’Occidente romano e l’Oriente barbaro.
In seguito al trionfo di Ottaviano ad Azio (31 a. C.) e alla ritirata di Antonio e Cleopatra ad Alessandria, l’anno dopo, con la flotta romana ormai in città, prima Antonio e poi Cleopatra si tolgono la vita.
Il ritratto oraziano di Cleopatra in Odi 1, 37
L’ode oraziana 37 del primo libro delle Odi è certamente un grido di gioia ed un inno alla vittoria contro la regina egiziana: il carme si apre con un invito al brindisi (Nunc est bibendum, v. 1), un evidente riferimento all’incipit del canto di gioia di Alceo per la morte del tiranno di Mitilene, Mirsilo. Si tratta di una delle primissime odi della raccolta del poeta di Venosa, scritta alla notizia del suicidio della nemica di Roma nell’estate del 30 a.C.
All’invito alla festa ed a stappare il vino migliore, segue il concitato racconto degli ultimi momenti della regina, di sapore pindarico: dal v. 5, la figura di Cleopatra campeggia nel carme come indiscussa protagonista.
Orazio la descrive come una donna in preda al furor, una regina demens, folle, dalla mente allucinata dal vino: il poeta, commettendo anacronismi ed esagerano alcuni tratti della narrazione, rendendone le sfumature patetiche, descrive l’inseguimento di Cleopatra, ormai padrona di una sola nave, fino ad Alessandria – ma, come si è detto, passerà un anno tra la battaglia di Azio e la disfatta totale dell’Egitto –, da parte di Ottaviano, con due similitudini tipicamente epiche.
Come la colomba inseguita dallo sparviero e la lepre dal cacciatore – immagini riprese rispettivamente da Omero e da Callimaco, sebbene la seconda non manchi anche nell’epos – Cleopatra è spinta alla resa definitiva: ed è a questo punto che Orazio cambia il suo punto di vista e rivela la sua profonda ammirazione per un personaggio divenuto poi leggendario e proverbiale, la figura della regina che, «desiderando morire eroicamente e non da donna» (quae generosius perire quaerens nec muliebriter, vv. 21-22), assorbe nelle sue vene il veleno di un serpente – un’immagine evocativa, ricca di pathos – mentre guarda la sua reggia soccombere all’occupazione romana.
Cleopatra, da antagonista folle ed ebbra, diventa un’eroina tragica, lucida nella sua decisione di darsi la morte per non cadere nelle mani del nemico: la prospettiva oraziana è ribaltata, il poeta si fa portavoce delle ragioni del nemico di Roma e ne ammette la grandezza quasi eroica.
Ed a ragione, Cleopatra è l’unica grande protagonista del carme: non c’è spazio per Antonio, il generale romano non viene mai menzionato, la sua assenza è sinonimo del ruolo passivo che la propaganda augustea volle vedervi, un fantoccio nelle mani della carismatica Cleopatra che ben si adattava ad una guerra che non voleva essere civile ma contro una nemica straniera.
Ottaviano, futuro Augusto, diventava difensore di Roma contro una regina barbara e non eroe fratricida che sacrifica, per l’ennesima volta, il sangue di un concittadino per salvaguardare la patria.
Francesco Longobardi