I Normanni irruppero sulla scena napoletana a partire dall’XI secolo quando il Duca di Napoli Sergio IV, per allentare la pressione longobarda sull’autonomo ducato, chiese aiuto ad un manipolo di uomini provenienti dal nord (nothmen-normanni) capeggiato da Rainulfo Drengot.
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Rainulfo e la prima espansione dei normanni in Campania
L’avventuriero, per i servizi resi, fu poi ricompensato con uno spazio di terra nella località di Aversa e col titolo di conte. Rainulfo sarà considerato l’iniziatore della potenza normanna in Campania e la maggiore spina del fianco per Napoli.
Da Aversa, infatti, i normanni si espansero a macchia d’olio in tutta la regione e posero sotto un lungo assedio la città partenopea nel 1077; la battaglia si concluse nel 1078 in seguito all’incredibile resistenza dei napoletani, i quali costrinsero alla fuga gli uomini del nord.
La dura resistenza del duca Sergio VII
I normanni, però, non si arresero e qualche anno dopo portarono avanti altri due assedi: uno nel 1134 per via mare durante il quale la flotta normanna fu letteralmente costretta alla fuga e alla ritirata; uno nel 1137 per via terra che si concluse con una vittoria degli assedianti e con le razzie per i borghi di Napoli.
Il duca Sergio VII in primis cercò con abnegazione di difendere l’autonomia napoletana; tuttavia, arrivata allo strenuo delle forze, la città si arrese agli invasori.
La resa al re normanno Ruggiero II d’Altavilla
La resa arrivò solo alla morte del duca e con la successione dell’arcivescovo Marino, il quale, stanco di vedere la propria città in condizioni pietose, decise di avviare una soluzione pacifica al conflitto con i normanni.
Nel 1140, in seguito all’accordo stipulato a Benevento (una delegazione napoletana aveva concesso le chiavi della città al sovrano normanno), il re Ruggiero II d’Altavilla, che si apprestava a completare l’unità dell’Italia meridionale e della Sicilia, entrava a Napoli.
La cronaca di questo avvenimento ci è descritta dal notaio Falcone Beneventano:
“I preti e il clero cittadino gli uscirono incontro presso quella porta e, levando al cielo inni e lodi, lo introdussero in città. Quattro nobili gli mantenevano le staffe, e le redini del cavallo, e con altri quattro accompagnarono il re fino all’episcopio. Se tu, lettore, avessi veduto la folla del popolo, che stava sulla piazza e le donne, vedove, maritate e vergini, che erano alle finestre, avresti certamente con gran meraviglia affermato che nessun imperatore, o re, o principe, entrò mai con tanto onore e tante dimostrazioni di gioia in Napoli. Così accolto, il re scese all’Episcopio e fu alloggiato nell’appartamento dell’arcivescovo. […]”.
Napoli normanna
Il giorno successivo Ruggiero volle visitare la città e uscì fuori le mura per insediarsi nel Castellum Sancti Salvatoris, sull’isolotto dell’attuale Castel dell’Ovo, e per convocare tutti i cittadini napoletani affinché apprendessero i suoi voleri e i nuovi ordinamenti. Il re privò la città della sua indipendenza politica, ma le concesse ampia autonomia amministrativa e confermava ogni privilegio; rispettò l’aristocrazia cittadina partenopea eleggendo suoi membri nel collegio dei giudici che doveva affiancare il compalazzo (delegato del potere regio) nella gestione della giustizia, dei beni demaniali e nella riscossione dei tributi; concesse poi a tutti i cives la possibilità di essere giudicati da un tribunale regio.
Un nuovo sistema
Il forte accentramento di potere nelle mani del re aveva di fatto posto fine ad ogni sprazzo indipendentista e ad uno sviluppo politico che aveva sempre, prima dei normanni, contrassegnato di autonomia ogni forma di istituzione all’interno dell’ormai finito ducato napoletano. Basti pensare alla chiesa napoletana, la quale aveva sempre goduto di una forte autonomia ai tempi del ducato e che ora, col nuovo ordinamento, aveva del tutto perso.
Inoltre, dovette scontrarsi anche con i forti dissensi della chiesa romana, frutto delle pessime relazioni proprio tra i normanni e Roma. Il riflesso dei cattivi rapporti tra i due interlocutori si proiettò sulla distruzione sistematica e violenta di tantissime chiese; unica che sopravvisse fu quella di “San Giovanni a mare”.
La nuova struttura feudale costituiva un’inversione di tendenza nel regno napoletano e in tutto il meridione rispetto al nord dell’Italia, sempre più proiettato verso la formazione e lo sviluppo del “libero comune”. I nobili furono riconosciuti come milites del re, legati a lui da vincoli vassallitici e determinati ad accrescere il loro potere anche su altri ducati importanti quali Amalfi, Capua, Aversa con il titolo di baroni.
Il popolo, oltre a vedersi stroncare sul nascere ogni tentativo di miglioramento economico a causa della struttura feudale, iniziò a portare rancore verso la classe dei nobili, sempre più favorita dal sovrano, e si ribellò alla monarchia normanna. Le rivolte furono sedate proprio dai neo-cavalieri feudali (nobili napoletani). Le tensioni non si placarono e tornarono più forti di prima alla morte del re nel 1154.
Verso la fine della dominazione normanna
I successori di Ruggiero II (in successione cronologica: Guglielmo I detto “il Malo”; Guglielmo II detto “il Buono”; Tancredi; Guglielmo III) dovettero fare continuamente i conti con queste spinte insurrezionali, che provenivano spesso dal basso (popolo) e attraverso le quali si dimostrava tutta la propria insofferenza nei confronti del potere regio.
Non solo il popolo mal sopportava la monarchia normanna, ma anche gli stessi nobili, soprattutto durante il regno di Guglielmo I, cercarono più volte di sottrarsi al controllo regio. La risposta del sovrano, aiutato anche dal ministro barese Maione e sulla scia della politica paterna, fu ancora una volta di netta chiusura. Un periodo pacifico inaugurò, invece, Guglielmo II attraverso azioni volte ad imbonirsi sia i nobili che lo stesso popolo. Frutto di questa linea fu la creazione di un governo consolare a compartecipazione nobiliare e popolana.
Intanto la potenza sveva si rafforzava ai confini del regno napoletano e se ne accorse il re Tancredi. Quest’ultimo cercò infatti di sottrarre alle grinfie degli svevi alcune città strategiche donando loro privilegi e maggiore autonomia. Ma ormai era troppo tardi perché Enrico VI aveva dalla sua parte un esercito agguerrito, coadiuvato dalle potentissime flotte pisana e genovese. Con questo esercito Enrico VI invase Napoli ponendo fine alla dominazione normanna che durava da poco più di mezzo secolo.
Crescenzo Crispino