Charles Bukowski ha sempre rifiutato l’etichetta di un movimento letterario. L’espressione di Bill Buford “Realismo sporco” però sembra adatta all’autore.
Charles Bukowski nacque ad Andernanch, in Germania, nel 1920 e morì nel 1994 a San Pedro, presso Los Angeles, dove si era trasferito all’età di due anni con i suoi genitori.
Dopo un’infanzia e un’adolescenza difficili, soprattutto per i maltrattamenti del padre, Charles Bukowski cominciò a vivere alla giornata, senza mai un lavoro fisso, bevendo pesantemente e frequentando il mondo degli emarginati californiani.
La sua produzione letteraria è il frutto di un narratore che dell’autoemarginazione e della violenta critica al sogno americano ha fatto il segno distintivo del suo scrivere, senza mai smarrire il filo di una superiore ironia, capace di rivolgersi docilmente e persuasivamente anche contro il personaggio di sé così amorosamente costruito. Il contenuto delle sue opere è quasi sempre autobiografico caratterizzato da corse dei cavalli, donne, sbornie colossali, risse ed interminabili giornate al bar.
“Ospedali e galere e puttane: ecco le università della vita. Ho preso diverse lauree. Chiamatemi dottore.” (da “A sud di nessun nord”)
Molte sue storie sono il risultato e lo specchio della precarietà e delle incerte condizioni della vita che conduceva. Per la sua opera ha sempre rifiutato con sdegno le etichette che gli venivano assegnate o ha sempre schivato il tentativo della critica di inquadrarlo all’interno di un determinato movimento letterario. Spesso Charles Bukowski è stato associato al movimento Beat, dal quale però cercò sempre di distanziarsi, sia per stile letterario, sia per personaggio pubblico. Buk ha incarnato un unicum nel panorama letterario americano.
“L’anima libera è rara, ma quando la vedi la riconosci: soprattutto perché provi un senso di benessere, quando gli sei vicino.” (da Un brutto viaggio in “Storie di ordinaria follia”)
Charles Bukowki e il realismo sporco
Verso la fine del Novecento però Bill Buford, autore e giornalista americano, sulla rivista letteraria Granta conia, per scrittori simili nel modus operandi a Charles Bukowski, l’espressione “Dirty realism”, “Realismo sporco”. L’espressione, in generale, definisce soprattutto un movimento letterario nordamericano nato tra gli anni settanta e gli anni ottanta, tra le cui fila figura anche Raymond Carver.
“Il Realismo sporco è la «fiction» di una nuova generazione di autori americani: scrivono sul ventre della vita contemporanea – un marito abbandonato, una madre ignara, un ladro di automobili, un borseggiatore, un tossicodipendente – ma ne parlano con un distacco inquietante, a volte commovente sulla commedia. Comprensivi, ironici, a volte selvaggi, ma con insistenza compassionevole, questi racconti costituiscono una nuova voce nella «fiction».” (Bill Buford, da “Grata Summer Edition 1983)
Il realismo sporco è considerato una varietà del minimalismo letterario, caratterizzato da un’economia di parole e stile. Gli scrittori di questa sotto-categoria del realismo descrivono gli aspetti più marci e più banali della vita quotidiana che Charles Bukowski ha vissuto sulla sua pelle. Il linguaggio è acre, senza orpelli o tabù artistici. Si tende, dunque, ad evitare avverbi, aggettivi, metafore e monologhi interiori, consentendo invece agli oggetti, al contesto e all’azione di trasmettere il significato vero e proprio dell’opera.
Charles Bukowski e la disgregazione del reale
Racconto breve e poesia, con l’eccezione di qualche romanzo, sono i generi a cui Charles Bukowski si dedicò più assiduamente. La sua bibliografia è ricca short story e pullula di poesie. Ma se da un lato è vero che scrisse anche diversi romanzi, essi si compongono di capitoli che il più delle volte non erano altro che storie brevi pubblicate singolarmente su qualche rivista, ma spesso animate di una vita propria. Perciò, nel complesso, anche i suoi romanzi si declinano come un mosaico di brevi racconti tenuti insieme dalla soggettività del protagonista o dell’autore medesimo.
Infatti tipica del realismo sporco di Charles Bukowski è la disgregazione del reale e la frammentazione della quotidianità e dell’esistenza umana. L’autore guarda, descrive e denuncia come attraverso un obiettivo, la ripetizione di mondi, situazioni e personaggi che, oltre la superficie del reale, sono sempre uguali a se stessi e non sembrano mai avere possibilità di riscatto. Piccole realtà chiuse, senza un domani. Bukowski realizza tutto ciò giustapponendo alla crudezza di una resa realistica l’elemento ludico, la vis comica, la capacità di sorridere davanti alla desolazione della vita.
“La mosca stava ancora camminando sulla scrivania. Arrotolai il “Racing Form”, le diedi un colpo e la mancai. Non era la mia giornata. Né la mia settimana. Ne il mio mese. Né il mio anno. Né la mia vita. Accidenti.” (da “Pulp”)
Crisi del soggetto nella società moderna
Ogni capitolo dei romanzi di Charles Bukowski, ogni short story rappresenta un universo esistenziale autonomo. I personaggi che li popolano sono fragili, disillusi, rabbiosi e l’autore ama smascherarne le debolezze al di là della quiete apparente nella quale sono immersi. Nei suoi racconti Bukowski mette in scena una disgregazione del reale che si manifesta come cinica critica alla società moderna e con la consapevole disillusione di essere “nulla”.
L’autore descrive un ripetitivo quotidiano frammentato perché emerga sempre la stessa idea, una lenta e inesorabile deriva: la crisi del soggetto nella società contemporanea. Una società che l’autore stesso soffre. Lui, Bukowski, “forse un genio, forse un barbone” (“Storie di ordinaria follia”).
Anzi, “io, Charles Bukowski, detto gambe d’elefante, il fallito”, perché i suoi sono sempre racconti autobiografici e spesso in prima persona. Peculiarità del realismo sporco di Bukowski era il breve tempo che impiegava a scrivere un racconto o un romanzo, senza ritornare sul testo per nuovi accorgimenti.
“La verità profonda, per fare qualunque cosa, per scrivere, per dipingere, sta nella semplicità. La vita è profonda nella sua semplicità.” (da “Hollywood, Hollywood”)
Da ciò si comprende perché la scrittura di Charles Bukowski sia aggressiva, urlata. Fa spesso affidamento alla ripetizione o all’uso del carattere maiuscolo per trasmettere la sua forza espressiva e con una ricercatezza linguistica quasi assente. Buk ci mostra un mondo avventuroso e osceno, divertito e disperato, sboccato e insieme lirico, mantenendosi sempre in bilico tra invenzione e racconto autobiografico.
“Avrei potuto gridare per strada qualsiasi cosa senza che nessuno mi sentisse, senza che nessuno alzasse un dito. non si può dire che avrebbero dovuto. non chiedevo amore. ma c’era qualcosa di molto strano. i libri non ne avevano mai parlato. i genitori non ne avevano mai parlato. i ragni sì. vaffanculo.” (da “Taccuino di un vecchio sporcaccione”)
Maurizio Marchese
Fonti:
- Granta Magazine, Summer 1983
- Charles Bukowski, Factotum, Guanda, 2006.
- Charles Bukowski, Storie di ordinaria follia. Erezioni, eiaculazioni, esibizioni, Feltrinelli, 2013
- C. Bukowski, Post Office, TEA, 2009
- C. Bukowski, Taccuini di un vecchio sporcaccione, Guanda, 1999
- Charles Bukowski, Hollywood, Hollywood, Feltrinelli, 2013
- https://en.wikipedia.org/wiki/Dirty_realism
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