Le origini della tragedia greca: l’interpretazione di Aristotele

Qual è l’origine della tragedia greca? Da cosa deriva? Perché essa è riuscita ad imporsi così facilmente nella società greca? E soprattutto, qual è il senso della tragedia greca, il suo significato più intimo e profondo? In questo articolo proveremo a rispondere a queste domande attraverso l’interpretazione di Aristotele.

Il teatro nella società greca

Talete tragedia greca
Il teatro di Mileto

Il teatro, nel suo massimo splendore, è elemento fondamentale nella società greca classica, e più specificatamente della cultura attica del V sec., quando ormai si è affermata la democrazia. Il teatro è intimamente connesso alla religione: commedie e tragedie sono rappresentate nelle gare che si svolgono in occasione delle grandi feste religiose.

Ad Atene queste gare hanno luogo in onore di Dioniso, durante tre feste (Dionisie rustiche, Lenee, e Grandi Dionisie). Le Grandi Dionisie offrono spazio alle rappresentazioni più diverse: commedia, tragedia, dramma satiresco e ditirambo.

La città ne controlla l’intera organizzazione e l’arconte eponimo ne è il responsabile. I coreghi, i poeti, gli spettacoli, gli attori e le gare sono scelti dalla città; i coreghi sono i finanziatori degli spettacoli e sono scelti fra cittadini molto ricchi (le spese erano piuttosto dispendiose).

Negli agoni tragici sono impegnati tre autori, che devono presentare quattro pezzi ciascuno, una trilogia di tre tragedie e un dramma satiresco; per la commedia ne sono invece impiegati cinque.

Oltre ai coreuti, i membri del coro, diretti dal corifeo, recitano tre attori, i protagonisti, che rivestono più ruoli. Coro e attori sono formati solo da maschi, che indossano la maschera per interpretare ogni personaggio.

I giudici in ogni gara assegnano tre premi, al miglior poeta, corego e attore, che consistono in corone d’edera.

tragedia greca

In occasione delle Grandi Dionisie la gara avviene il giorno dopo la processione e il sacrificio nel santuario di Dioniso. La durata della gara è di tre giorni. Sull’orchestra si trova la statua di Dioniso; la giornata inizia con sacrifici e libagioni
Se inizialmente lo spettacolo era a pagamento, poi verrà istituita una cassa apposita per i cittadini poveri. Lo spettacolo avviene in un teatro, in legno nel V sec e in pietra nel IV; dura dall’alba al tramonto. Le rappresentazioni teatrali delle Grandi Dionisie servono alla città per dimostrare la propria influenza politica, e in tale occasione gli alleati portano il proprio tributo ad Atene.

La tragedia greca: racconto di storie già note

Il teatro è uno dei luoghi in cui si dibattono questioni che interessano i cittadini; lo spettatore vede il confrontarsi di opinioni e idee sui problemi attuali della città, per rifletterne e formarsi una propria opinione.

La tragedia greca succede all’epica e alla poesia lirica e svanisce con l’affermazione della filosofia. Le storie tratte dalle tragedie sono note a tutti gli antichi greci. Il pubblico non va a teatro per scoprire nuove storie, ma per vedere il modo con cui sono raccontate storie già conosciute.

Mentre i temi sono le leggende degli eroi della mitologia vecchia di secoli e secoli, la materia è il pensiero sociale, politico, giuridico, religioso della città attuale, come nel caso dell’Antigone, che rappresenta il contrasto fra legge di natura e legge dello stato.

Le origini della Tragedia greca

Le fonti che possediamo riguardo alla tragedia greca sono scarse, e i testi di Eschilo, Sofocle ed Euripide costituiscono la quasi totalità del materiale che possediamo. Avendo perlopiù tragedie già formate, storici, filologi ed antropologi hanno, nel tempo, sbattuto la testa in continuazione cercando di rispondere ai dubbi sulla formazione della tragedia greca, e le interpretazioni che ci sono pervenute sono le più varie.

Il mondo classico, però, non è sordo al problema. E ogni interpretazione moderna non può esimersi dall’analisi fatta da Aristotele nel capitolo IV della sua Poetica.

medioevo
Aristotele

La tragedia greca è vista come un rito collettivo, intimamente legata alla polis, di cui condivide il destino. Il pubblico partecipa in modo empatico alla tragedia. Il protagonista è la proiezione degli stessi sentimenti che provano gli spettatori. La funzione essenziale della tragedia greca è di κάθαρσις, catarsi delle passioni al centro della rappresentazione scenica.

«La tragedia è dunque imitazione di una azione nobile e compiuta, avente grandezza, in un linguaggio adorno in modo specificamente diverso per ciascuna delle parti, di persone che agiscono e non per mezzo di narrazione, la quale per mezzo della pietà e del terrore finisce con l’effettuare la purificazione di cosiffatte passioni.»
(Aristotele, Poetica, 1449b)

Il pubblico vive in prima persona i conflitti alla base della tragedia, spesso attualizzati dall’autore. Il mito ha una funzione paradigmatica, è il punto di partenza di discussioni a carattere sociale e filosofico.

Ciò che più deve interessarci è l’interpretazione aristotelica dell’origine della tragedia greca, qui riportata:

«Nata dunque la tragedia all’inizio dall’improvvisazione (sia essa sia la commedia da quelli che guidavano il coro: la prima dal ditirambo, mentre la seconda dalle processioni falliche che ancor oggi sono rimaste in uso in molte città), crebbe un poco per volta, sviluppando gli autori quanto via via di essa si rendeva manifesto; e dopo aver subìto molti mutamenti si arrestò, poiché aveva conseguito la natura sua propria. Il numero degli attori Eschilo per primo portò da uno a due, diminuì l’importanza del coro e promosse il discorso parlato al ruolo di protagonista; il terzo attore e la pittura della scena furono poi opera di Sofocle. C’è ancora la grandezza: partendo da racconti brevi e da uno stile giocoso, perché si stava mutando da un originario genere satiresco, soltanto più tardi la tragedia acquistò un carattere serio, mentre il metro dal primitivo tetrametro si fece giambico. Giacché dapprima si servivano del tetrametro perché era una poesia di carattere satiresco e più danzata, ma quando poi si introdusse il linguaggio parlato, la sua natura stessa trovò il metro adatto, perché quello giambico è il metro più vicino al parlato; e la prova ne è questa: spesso nel parlare tra noi pronunciamo dei giambi mentre molto di rado degli esametri, ed allora ci solleviamo al di sopra della cadenza del parlato. »  (Aristotele, Poetica, 1449a)

Davide Esposito