Sempre più spesso si sente parlare di graphic novel con riferimento a uno specifico prodotto editoriale: una tipologia di fumetto non seriale e autoconclusiva, che affronta tematiche adulte e dal carattere spiccatamente letterario, distinta per la migliore qualità dei materiali di pubblicazione e destinata anche al mercato librario.
In realtà, stabilire cosa vada sotto la denominazione di graphic novel ha dato inizio ad accesi dibattiti sulla natura di questo genere, sul suo significato e la sua funzione.
Cos’è un graphic novel?
Nonostante il fumetto sia riuscito a guadagnarsi un posto di rilievo tra i più comuni media nati in seno alla cultura di massa, per molto tempo ha dovuto fare i conti con un certo grado di diffidenza nei suoi confronti, alimentato da giudizi critici negativi che etichettavano l’insieme della produzione fumettistica come indegna dell’attenzione che si riserva solitamente alle arti più “nobili”.
In questo senso, secondo molti critici, dietro l’uso indiscriminato dell’espressione graphic novel, si celerebbe una sorta di disagio nell’ammettere che l’oggetto di cui si sta parlando, per quanto dotato di un riconosciuto valore artistico, sia un fumetto.
Un tentativo mal celato, quindi, di nobilitare agli occhi di una critica letteraria, spesso intransigente, quello che rimane un prodotto della cultura popolare.
Il graphic novel in Italia
In Italia, contributi fondamentali allo sdoganamento culturale del fumetto provennero dal Gruppo 63, la neoavanguardia di cui fece parte anche il semiologo Umberto Eco, e dalla storica rivista di fumetti linus (che prende il nome da uno dei celebri protagonisti dei Peanuts di Charles M. Schulz), fondata da Giovanni Gandini nel 1965, e poi passata, nel 1972, sotto la direzione del grande critico Oreste del Buono.
Rivista pensata per un pubblico adulto e colto, linus diffuse grandi opere del fumetto americano ed europeo, riconoscendole come degni prodotti intellettuali e culturali.
Umberto Eco, invece, ha più volte rilevato un radicale rovesciamento delle gerarchie culturali per mezzo di un nuovo modo di fare e concepire il fumetto, tale da elevarlo a forma di cultura alta, perfino difficile da leggere.
Ed è proprio in questa nuova concezione del fumetto che si colloca con ogni probabilità il cosiddetto graphic novel, inteso come opera che supera le logiche seriali, tipiche dei comics americani, ma non solo.
Alcuni di quei fumetti che oggi sono denominati tali, in principio erano stati concepiti per essere serializzati; è il caso di Watchmen di Alan Moore, nato come miniserie a fumetti, ma riconosciuto unanimemente come uno dei più influenti graphic novel della storia.
Anche quello che probabilmente è da considerare il primo graphic novel mai realizzato, venne pubblicato in serie su rivista. Si tratta de El eternauta, fumetto di fantascienza scritto da Hector Germàn Oesterheld e disegnato da Francisco Solano Lopez, pubblicato in Argentina tra il 1957 e il 1959.
In Italia, i primi esempi di graphic novel vedranno la luce tra il 1966 e 1967, quando furono pubblicate due opere di grande rilievo: La rivolta dei racchi di Guido Buzzelli e Una ballata del mare salato di Hugo Pratt, prima grande avventura dell’indimenticabile Corto Maltese.
Anche lo scrittore e pittore Dino Buzzati, nel 1969, sperimentò, con l’opera Poema a fumetti, un nuovo modo di approcciarsi a questo genere.
Al 1978 risale, invece, Contratto con Dio del grande Will Eisner, raccolta di quattro racconti a cui fu applicata la denominazione di graphic novel, sebbene questa espressione non sia stata coniata dall’autore cui deve indubbiamente la sua fama.
Sono questi alcuni degli illustri precursori di un genere che oggi tende sempre più ad affermarsi e che deve la sua evoluzione al contatto diretto con la dimensione letteraria romanzesca.
Luciana Tranchese