Il mio cuore è nel Sud, in scena per omaggio di Mariano Rigillo a un suo maestro, Giuseppe Patroni Griffi, lo racconta a dieci anni dalla scomparsa.
Venerdì 9 gennaio è andato in scena al Teatro Mercadante di Napoli Il mio cuore è nel Sud: radiodramma in un atto unico. La messinscena, curata da Mariano Rigillo in qualità di regista e narratore, e che ha coinvolto l’Orchestra del Teatro di San Carlo – sul podio Maurizio Agostini –, è stata un omaggio dell’attore a uno dei suoi maestri e scopritori, Giuseppe Patroni Griffi, autore dell’opera, nel decennale della scomparsa.
Patroni Griffi fu generoso con Napoli, senza chiedere niente in cambio.
Così Luca de Fusco, che a novembre ha curato per lo stesso teatro il racconto d’esordio di Peppino, D’estate con la barca, vuole ricordare il rapporto tra lo scrittore e la sua città natale, che pure quello lasciò per Roma, alla volta di una più cosmopolita italianità, rapporto che in il mio cuore è nel Sud rivela la sua duplicità di sguardo di denuncia e insieme di amore.
Prodotta dalla RAI, che la trasmise nel 1950, l’opera si fregiò di nomi eccellenti da quel lontano «mondo d’arte, che oggi non esiste più» – come riflette dal palco, nostalgico, Rigillo. La regia di un Anton Giulio Majano ancora in erba, che sarebbe presto stato guru dello sceneggiato televisivo, ma più di tutto la musica di Bruno Maderna, che fu autore del sottofondo musicale e direttore, per la prima, dell’Orchestra Sinfonica della RAI, rappresentano due alti esempî di quale fosse, nel secondo dopoguerra, il target della rete radiofonica pubblica.
La vicenda, pur dai contorni esotici – grazie anche agli splendidi melismi interpretati da Elsa Tescione e Antonella Cozzolino –, traccia un violento ritratto dello stato di prigionia del ceto inferiore, abbandonato ad un mondo di frustrazioni. Dolores – Silvia Siravo –, condotta alla pazzia dal continuo fischiettio di un carcerato, avverte in tutta la sua violenza la gabbia che attanaglia le persone come lei, arrivando al disgusto compulsivo della propria famiglia. Patroni Griffi evidenzia seccamente le implicazioni sociali della patologia mentale. Il suo personale Neorealismo non approda però alle estreme conseguenze, sempre immerso in un ambiente irreale, sia per le inverosimiglianze linguistiche – retaggi dell’opera lirica quanto del linguaggio radiofonico ante quem – che per la generale atmosfera opaca.
La musica di Maderna è in ciò contributo essenziale. La sua destrutturazione del mondo musicale urbano – dal jazz alle cantilene popolari – accentua gli spunti espressionistici di Patroni Griffi pur con la massima sobrietà. Il mio cuore è nel sud, punto di partenza dell’esperienza alla RAI sua e, successivamente, di Luciano Berio, inaugura la lunga stagione di collaborazioni tra l’avanguardia musicale italiana (pur anche disposta a fruttuosi compromessi) e i media statali, culminata con l’irripetibile possibilità, per i musicisti italiani, di confrontarsi con la manipolazione sonora su nastro magnetico agli studî di Fonologia di Milano.
Una sinergia di tali nomi e il cast notevole – da aggiungere Anna Teresa Rossini, Ruben Rigillo e Antonio Izzo – che Mariano Rigillo ha raccolto per la rappresentazione hanno determinato una messinscena di rara bellezza e concisione, dando ragione a chi riconosce in il mio cuore è nel sud un prototipo del teatro per gli orecchi che si sarebbe arricchito di innumerevoli spunti espressivi nel decennio seguente.
Con le declamazioni a cornice di Mariano Rigillo di passi da Prima del silenzio (1979) e Cammurriata (1983), oltre al ricordo che Patroni Griffi scrisse degli amici Nora Ricci e Luchino Visconti, è stato tracciato il ritratto di un artista e del suo mondo scomparso, una eredità tutta italiana fin troppo spesso dimenticata dai suoi figli.
Antonio Somma