Damien Rice esce con My Favourite Faded Fantasy, il suo nuovo e terzo album in studio. L’ ultimo, 9, risale al 2006. Detto questo, già dobbiamo un applauso al cantautore irlandese per “le palle”. Sì, perchè ci vogliono “palle” per decidere di non star dietro ai frenetici ritmi che il mercato musicale impone. Punto primo: si corre il rischio di essere dimenticati. Punto secondo: i discografici sono come piranha sui tempi tra un lavoro e l’ altro. Vogliono soldi, soldi e ancora soldi.
Ok, passiamo a My Favourite Faded Fantasy. Sono 8 tracce “alla Damien Rice“. Il tempo scivola via gradevolmente ascoltando l’album, ma la magia di O (2002), non c’è più. I fan più accaniti l’hanno cercata e la cercano ancora oggi in 9 (2006), ma è tempo sprecato. Ascoltando “O” si piange con la stessa facilità con cui i bambini della mia generazione (classe ’92) piangevano vedendo la morte di Mufasa nel Re Leone. Ma non c’è una spiegazione per questo: “O” fu ed è un capolavoro di magia. Arrangiamenti semplicissimi ma che ti colpiscono l’anima con un cazzotto. Con My Favourite Faded Fantasy Damien ci prova a dartelo quel cazzotto, ma non ci riesce. La mancanza di Lisa Hannigan si sente soprattutto a livello spirituale, come si sente la presenza del super-produttore Rick Rubin che, soprattutto nell’ ultima parte della maggior parte dei pezzi, esalta la vena melodrammatica del FolkMan Irlandese.
Una malinconica chitarra elettrica dà il via con il pezzo omonimo all’album. E’ una chitarra elettrica triste e la voce di Rice è più fragile del solito. Prima gli archi poi la batteria entrano nel pezzo, facendo compagnia alla flebile voce del cantautore irlandese. It Takes A Lot Know A Man è un pezzo atipico per Damien Rice. In primis dura ben 9.33 minuti, che per il suo genere sono tanti. E’ un pezzo con una struttura irregolare che si trasforma nell’ ultima parte in un brano strumentale, parte dove notiamo palesemente la mano di Rubin. L’arpeggio di chitarra che anticipa il cantato in The Greatest Bastard mi ha fatto saltare dalla sedia non appena l’ho ascoltato. Qui, Damien, emoziona sul serio. Il ritornello è colmo di pathos e gli archi, come sempre con il cantautore irlandese, fanno la loro sporca figura. Il primo singolo di My Favourite Faded Fantasy è stato I Don’t Want To Change To You, che è la quarta traccia dell’album. Musicale sì, commerciale anche. Certo, anche il livello “commerciale” di Rice è un livello alto, ma questo pezzo fa ricadere nella “tentata magia”. Una power ballad che passa via senza che te ne accorga. Colour in me te la canta la tua ragazza mentre fa le castagne in una fredda sera d’autunno. Un pezzo intimo, molto intimo. Qui Rubin non ci mette tante le mani, riducendo gli arrangiamenti all’osso per dare quasi tutto la spazio alla voce di Rice. Dopo Colour in me veramente poco e nulla. C’è The Box, dove la voce del cantautore irlandese è molto più alta rispetto agli strumenti ed è un effetto interessante per il primo minuto. Trusty and true è una classica folk ballad. Di quelle vecchio stampo. Sembra stia per concludersi con un roboante coro, quando invece sono una leggera tastiera e la solita chitarra di Damien a trasportarci pian piano verso la conclusione dell’ album. L’ultimo brano è Long Long Way. Anche questo un brano molto intimo, dove i soliti tre strumenti riceiani fanno da protagonisti: chitarra, tastiera, archi. E poi c’è la sua voce che, probabilmente, è lo strumento che funziona di più in My Favourite Faded Fantasy.
Finito l’ascolto di quest’album ti resta un po’ d’amaro in bocca: il cristallino talento di Damien Rice non è uscito fuori. Gli arrangiamenti sono dei migliori e la sua voce è sempre magica, ma l’incanto manca. Mancando l’incanto questo resta un buon album, costruito molto bene nonostante una semplicità di fondo, con alcuni pezzi che fanno ritornare alle atmosfere di “O”. Nulla più di questo. Colpa di Lisa Hannigan? Colpa dell’alcol? Colpa del suo rifugio in Islanda? Colpa della ormai perduta spontaneità? Non lo so, ma ridateci le lacrime, quelle serie.
Raffaele Cars