Il 7 gennaio 2015 Charlie Hebdo, giornale satirico francese, è divenuto il simbolo della libertà di stampa. I fratelli Kouachi, giovani francesi di origine algerina, hanno fatto irruzione nella sede del settimanale imbracciando i loro kalashnikov e al grido di Allah u Akbar hanno fatto fuoco uccidendo 12 persone, per la maggior parte giornalisti. La loro colpa, a detta dei killer e di quanti li hanno sostenuti, è stata quella di aver disegnato nel corso degli anni diverse vignette blasfeme sul profeta Maometto, ridicolizzando così l’Islam.
Immediata è stata non solo l’attivazione delle forze dell’ordine francesi per catturare gli assassini, ma anche l’indignazione a livello internazionale: in poche ore il mondo del web, e in particolar modo il social network Twitter, è stato preso d’assalto soprattutto da vignettisti di ogni nazionalità e religione, esprimendo così la propria vicinanza ai sopravvissuti dell’attentato terroristico e il diritto universale di satira.
Le polemiche ovviamente non sono mancate. Molti, tra cui la maggior parte delle persone comuni, hanno fraternizzato senza se e senza ma con i vignettisti di Charlie Hebdo, ma altri hanno sollevato un interrogativo pesante: fin dove può spingersi la libertà di stampa?
Personaggi celebri, tra cui Papa Francesco, si sono espressi in tal merito condannando l’esagerazione satirica attorno a determinate tematiche. Il pontefice, ad esempio, ha espresso il suo cordoglio alle famiglie delle vittime e ai sopravvissuti, ma ha tenuto a precisare che le figure sacre, indipendentemente dal tipo di religione a cui esse appartengono, devono essere rispettate. Bisognerebbe, quindi, porre un limite alla libertà di stampa.
Parole che, tuttavia, non sono affatto piaciute a Christiane Taubira, ministro della Giustizia francese: “in Francia siamo in grado di disegnare tutto, compreso un profeta, perché in Francia, il paese di Voltaire e dell’irriverenza, abbiamo il diritto di prendere in giro tutte le religioni”.
Ma è davvero così? Memori della sfilata dei leader durante la Marcia contro il Terrore e volendo prendere in considerazione alcuni Paesi occidentali, tra cui la Francia, possiamo davvero affermare che la libertà di stampa, di satira e quindi di espressione, è un diritto inalienabile?
Un modo per rispondere a questa domanda potrebbe essere quella di confrontare i cosiddetti Paesi democratici con quelli Africani, del Medio Oriente o dell’Asia, utilizzando la classifica mondiale sulla libertà di stampa stilata nel 2014 dalla ONG Reporters Sans Frontières.
I Paesi Scandinavi e del Nord Europa, assieme all’Islanda, al Canada, alla Nuova Zelanda e alla Namibia si sono piazzati tra le prime posizioni. L’Italia nel 2014 ha registrato dati positivi, avanzando dalla 57° posizione alla 49°. Male invece la Francia, calata dalla 37° posizione del 2013 alla 39° del 2014. Ad ogni modo entrambe le Nazioni si trovano al di sotto di Paesi considerati per lo più sottosviluppati o in fase di transizione, come ad esempio il Ghana (27°), il Suriname (31°), la Romania (45°) o il Niger (48°).
Anche gli Stati Uniti hanno registrato un calo di ben 14 punti rispetto all’anno precedente, mentre gran parte del globo presenta una situazione abbastanza disastrosa. Difatti possiamo notare molti Stati colorati di rosso, ovvero Paesi che vertono in una situazione dove la libertà di stampa è parecchio limitata.
Eppure è solo di pochi giorni fa l’immagine dei leader uniti a braccetto durante la sfilata per dire no al terrorismo, no al terrore e no ad una diminuzione della libertà di stampa.
Ecco dunque il sorgere di un’altra domanda, una domanda a cui purtroppo difficilmente si potrà dare una risposta concreta: quella di domenica scorsa era ipocrisia o semplice presa di coscienza?
Maria Stella Rossi