Eros, Amor, Cupido, Amore: comunque lo si voglia chiamare egli è sempre lo stesso, in qualunque luogo e in qualunque epoca. La letteratura lo dimostra.
Ciascuno di noi è come la metà di un unico contrassegno, dal momento che fu tagliato in due, come le sogliole, e va continuamente in cerca dell’altra metà.
(Platone, Simposio)
Amore ha il vanto di essere, tra tutti, il dio più antico. Così inizia il discorso sull’Amore di Platone, il Simposio, per bocca di Fedro.
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L’amore nella cultura greca
Nella cultura greca infatti, Amore, sconosciuto a Omero, viene introdotto dal poeta Esiodo: Prima di tutto c’era il Caos, poi ci fu Gea dal seno aperto, sostegno eterno e stabile di tutte le cose, ed Eros il più bello degli immortali che conquista il cuore degli dei e degli uomini e vince i saggi consigli. È una potenza teogonica, dio potente, antichissimo e meraviglioso, che ha avuto origine dal Caos, nato insieme alla terra stessa.
Eppure Amore, che sia Eros, Amor, Cupido o una sua qualsiasi altra rappresentazione, non dimostra mai la sua vera età: Amore è sempre un fanciullo, armato di arco e frecce, che si diverte a scagliare per il mondo raggiungendone anche gli angoli più remoti. Amore è un fanciullo eterno perché non importa quanto sia antica la sua origine, per natura egli è estraneo al trascorrere del tempo e sfugge ogni saggezza: è irrazionale e capriccioso, come un bambino, e continuamente si rinnova, restando sempre uguale a se stesso; è ovunque, perché parte integrante del mondo, ed è equo, perché la sua origine è nel Caos.
E sempre uguali sono anche le sue frecce: non conoscono i concetti di spazio e tempo, se non per il fatto che sono sempre e in ogni luogo, poiché ovunque cadano e in qualsiasi secolo ciò avvenga, i loro effetti sono sempre gli stessi.
Subito a me il cuore si agita nel petto
solo che appena ti veda,
e la voce non esce,
e la lingua si spezza.
Un fuoco sottile affiora rapido alla pelle
e gli occhi non vedono
e rombano le orecchie.
Saffo descriveva così gli effetti del suo amore, fin da subito completamente distanti dagli ideali di tranquillità e serenità ai quali si accompagna l’idea del sentimento stesso. Amore si presenta come una malattia psicofisica, che nasce dalla vista della persona amata. Amore non è buono e bello secondo gli ideali della kalokagathia –per cui ciò che appare come bello è anche spiritualmente elevato- ma è sofferenza, dolore, miseria.
Sempre nel Simposio di Platone viene data un’altra descrizione di questo dio: Anzitutto è sempre povero e tutt’altro che delicato e bello, come i più se lo figurano; anzi è grossolano, mezzo selvatico, sempre scalzo, vagabondo, dorme sempre per terra, allo scoperto, davanti agli usci e nelle strade, sotto il sereno, perché ha la natura della madre (Penia) ed è tutt’uno con la miseria. Per parte del padre (Poros), invece, è fatto per insidiare ciò che è bello e buono, essendo di natura virile, audace, violento, gran cacciatore, sempre pronto a tramare inganni, amico del sapere, ricco di espedienti, tutta la vita dedito a filosofare, abilissimo imbroglione, esperto di veleni, sofista. Inoltre né immortale, né mortale, ma, in uno stesso giorno, sboccia rigoglioso alla vita e muore, poi torna a vivere grazie a mille espedienti.
Una tale concezione dell’amore si accompagna perfettamente all’immagine di Eros: egli scaglia la sua freccia che, in quanto tale, ferisce. Cadendo nel petto dell’amante, provoca una ferita profonda e dolorosa, a cui il disgraziato tenta in ogni modo di porre rimedio, vagabondando miseramente sanguinante alla ricerca di colui /colei la cui vista è come sale sulla carne fresca. Mendica bellezza, la quale è cura e malattia insieme.
Amor è un desio che ven da core
Molti secoli dopo, Guido Cavalvanti scrisse:
Questa vertù d’amor che m’ha disfatto
da’ vostr’occhi gentil’ presta si mosse:
un dardo mi gittò dentro al fianco.
seguendo la fisiologia d’amore descritta da Giacomo da Lentini:
Amor è un desio che ven da core
per abbondanza di gran piacimento;
e li occhi in prima generan l’amore
e lo core li dà nutrica mento.
A distanza di anni l’amore è sempre lo stesso: trova la via che porta al cuore attraverso gli occhi, che percepiscono la bellezza e ne sono appagati, ma ciò avviene solo in virtù della ferita inferta da Amore, che si nutre di questa bellezza la quale ne è, a sua volta, la causa. Sempre uguale, Amore colpisce chiunque, con gli stessi risultati.
Solo et pensoso…..
E ogni innamorato soffre a modo suo: nell’attesa, nel non essere ricambiato, nel ricordo di ciò che era o di ciò che poteva essere. E ogni innamorato si rifugia nella solitudine dei suoi pensieri, che portarono Petrarca solo et pensoso a vagabondar per i più deserti campi a passi tardi e lenti e il paladino ariostesco Orlando a errar pel bosco tutta la notte, lontano da qualsiasi cosa possa riportare alla mente la sofferenza, pur consci che Amor venga sempre ragionando con meco ovunque essi siano.
Amor, amor, io ti odio
E, come ogni ferita, come per ogni sofferenza, il leso non può che odiare colui che gliel’ha inferta. E allora sulla scia di Catullo e del suo odi et amo, il paladino Orlando in tanta rabbia, in tanti furor venne, che rimase offuscato in ogni senso, Dante si trovò a dover esser aspro per fronteggiare la crudeltà della donna e che indusse Petrarca ad odiare, se posso; se no, ad amar controvoglia, in una sofferenza eterna che non trova requie, il cui eco è ancora vivo nelle parole di Pablo Neruda:
Ti amo solo perché io ti amo,
senza fine t’odio, e odiandoti ti prego,
e la misura del mio amor viandante
è non vederti e amarti come un cieco.
Eppure l’amore è sempre vivo, seconda faccia della stessa medaglia di questo odio, che come nera coltre sembra offuscare la grandezza del sentimento, ma che ad occhio attento appare come la magnifica esaltazione di ciò da cui nasce. Amore sempre uguale a se stesso, sempre crudele e sempre sublime, se vero non può essere cambiato nè annientato. Perchè, come disse Shakespeare:
Amore non è amore se muta quando scopre un mutamento
o tende a svanire quando l’altro si allontana.
Oh, no! Amore è un faro sempre fisso
che sovrasta la tempesta e non vacilla mai;
amore non muta in poche ore o settimane,
ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio;
se questo è errore e mi sarà provato,
io non ho mai scritto,
e nessuno ha mai amato.
Camilla Ruffo