Su, calmiamoci: Cinquanta sfumature di grigio è, sì, un film vuoto di contenuti validi che salta con un balzo olimpionico qualche decennio di femminismo. È anche però un rilevante caso cinematografico, e prima ancora editoriale. Perché mai?
Trama
“Oh, davvero ce n’è bisogno?” si dirà. “Lo sappiamo: lei (Dakota Johnson) è un’insignificante ragazza venuta dal nulla, lui (Jamie Dornan) un riccone che la porta in camera sua. E si scoprirà che è un depravato”.
E invece è proprio la trama che si deve commentare. Perché, in fondo, di questa pellicola (che ha una fotografia niente male, una regia senza infamia e senza lode, virtuosismi assenti per non dar fastidio, un anonimato rilassante e piacevole in tutto il resto) è la trama che deve farci chiedere: perché?
Perché la donna, quella misteriosa creatura che tanto ha combattuto per liberarsi dai vincoli maschili, corre al cinema a vedere una sua simile assoggettata e controllata dall’uomo che non deve chiedere mai?
La mente di lei: facciamola semplice
La donna, sostanzialmente, fantastica. Nel segreto del suo cervello pluristratificato che probabilmente intimorisce il maschietto medio, ella ragiona su molte cose contemporaneamente, ipotizza, immagina, e arriva a proporsi futuri possibili, presenti alternativi, mondi idilliaci, infine pura e semplice fantasticheria.
Ci sono poi alcune donne le cui fantasticherie sono dominate in modo preponderante dall’elemento maschile. Quest’ultimo, allontanato dalla realtà, è totalmente devoto alla di lei persona. Inoltre, secondo il gusto, può essere dotato di una profondità di pensiero tale da comprendere ogni stratificazione psichica femminile oppure essere un dominatore sexy.
Tutto questo viene confinato dal pudore al di qua del cranio di quelle specifiche donne, e di solito non vede traduzioni in parola scritta o pronunciata. Anche perché, pur indulgendo in simili eventuali passatempi, nella realtà la donna contemporanea rimane il frutto del femminismo, consapevole dei suoi diritti e doveri, pratica, indipendente, eccetera eccetera.
Insomma, questo Cinquanta sfumature di grigio…?
Questo film è la fantasticheria di E. L. James che ha passato la barriera del pudore, ha raggiunto la carta, e si è trasformata infine in una pellicola per mano di Sam Taylor-Johnson. È semplicemente questo. Ed è un’occasione che permette al gentil sesso di sbirciare nell’immaginazione di un’altra donna e crogiolarsi in una storia inverosimile, quasi umiliante, ma che ha evidentemente il potere di incuriosire.
È un film ridicolo, piatto e noioso, ed è desolante pensare che sia stato presentato al Festival Internazionale di Berlino, ma non ha senso demonizzarlo, perché chi lo ha girato, di male, ha fatto ben poco. Tutto ciò che c’è di oltraggioso per la dignità del cinema e della femminilità deriva solo e soltanto dal modo in cui è stato accolto, pompato e discusso. In sé è alla stregua delle vecchie commedie romantiche con Hilary Duff o Julia Stiles, e così avrebbe dovuto essere trattato.
Ma all’epoca del porno che il perbenista vieta alla donna o che lei stessa si vieta, vederlo legittimato come intrattenimento su una locandina obbliga a mostrarsi stupefatti. E non tanto che tali “torbidezze” esistano, quanto che siano lì alla luce del sole.
Chiara Orefice