Dragon Ball è uno dei manga più famosi a livello mondiale, come attestano le 230 milioni di copie vendute (dato aggiornato al 2012). Se sul suo successo dunque c’è ben poco da discutere, del tutto diversa appare la questione relativa al suo valore all’interno del panorama fumettistico internazionale; agli elogi di chi lo stima come un’opera geniale e dal forte valore fondativo, si contrappongono le critiche di coloro che lo reputano un prodotto essenzialmente “commerciale”, intendendo con tale espressione un’opera dallo scarso contenuto, creata unicamente per andare incontro alle esigenze, non particolarmente elevate, di una massa acritica. Partendo da queste posizioni contrapposte, l’obiettivo di questo numero di “Pianeta Manga” diviene dunque quello di rispondere alla domanda: cos’è realmente Dragon Ball?
Luoghi comuni su Dragon Ball
Come prima cosa, per poter procedere nell’analisi contenutistica dell’opera di Akira Toriyama, bisognerà procedere ad una sua contestualizzazione: si tratta infatti di un manga ben più vecchio di quanto non sembri, la cui serializzazione, portata avanti dalla rivista specialistica “Weekley Shonen Jump”, risale al 1984. Esso è uno shonen, ossia un manga che, come target di riferimento principale, ha un pubblico prettamente maschile e di età compresa tra i 10 ed i 18 anni.
Protagonista delle vicende narrate è Son Goku, un giovane impegnato in un viaggio alla ricerca delle sette sfere del drago, magici artefatti in grado, una volta riunite, di esaudire un desiderio. L’opera, dotata inizialmente di una vigorosa vena di comicità demenziale, acquisirà toni più seri con il passare delle saghe, seguendo Goku ed i suoi compagni in scontri che li vedranno opporsi ad esseri in grado di minacciare l’esistenza stessa della vita sulla Terra o nell’intero Universo.
Da questa breve presentazione traspare già in controluce come la critica principale rivolta a Dragonball, ossia la sua ripetitività, non sia altro che un luogo comune. Il manga parte infatti come il resoconto di un’avventura fantastica, sulle orme del classico cinese “Viaggio in Occidente”, per poi seguire la trasformazione di Goku in un vero guerriero, consacrata dalla partecipazione al Tenkaichi, il più prestigioso torneo di arti marziali del mondo.
Seguiranno il confronto con lo sgangherato esercito del “Fiocco Rosso” e la conquista del mondo ad opera del Grande Mago Piccolo, con la quale il manga assumerà una profondità maggiore, riscontrabile nella morte, sebbene soltanto temporanea, di alcuni dei personaggi principali.
In seguito, dopo la rivelazione delle origini aliene di Goku, i suoi compagni raggiungeranno il pianeta Namecc dove, armati della sola scaltrezza, si troveranno a dover ostacolare i piani di individui ben più potenti e pericolosi, dando varietà ad una storia che è tutt’altro che un susseguirsi ininterrotto di nemici sempre più potenti.
Tale critica resta applicabile unicamente agli ultimi due archi narrativi ed anche in questo caso soltanto in maniera parziale: essi presentano infatti delle diversità rispetto a ciò che li precede, in particolare il ritorno agli elementi comici/demenziali presenti nel bambinesco personaggio di Majin Bu e l’ossessiva presenza di un tragico futuro da riscrivere con ogni mezzo incarnata da Trunks.
Anche la lentezza degli scontri, spesso accollata a Dragon Ball, è in realtà attribuibile soltanto al suo adattamento animato, nel quale i tempi narrativi sono allungati a dismisura.
La questione Goku
Le principali critiche rivolte a Dragon Ball non riguardano però la trama del manga o il suo svolgimento bensì i suoi personaggi. Al centro del vortice delle opinioni negative si colloca il protagonista del manga, Son Goku, che riassume in sé i principali punti deboli dell’opera: eccessiva centralità del personaggio principale, forte carenza nella caratterizzazione e nell’evoluzione psicologica delle figure secondarie.
In quella parte di Dragon Ball corrispondente alla prima serie animata, Goku è onnipresente: nessuna battaglia o avvenimento prescinde dal suo intervento ed è soltanto per merito suo che gli eroi riescono a superare le situazioni più pericolose.
Tuttavia con la frazione corrispondente alla seconda serie animata le cose cambiano nettamente; fin dallo scontro con Radish, nel quale Goku, oltre a non riuscire a prevalere da solo, trova anche la morte, l’incisività del protagonista nella storia cala drasticamente così come la sua effettiva presenza. Nella battaglia con gli invasori saiyan, ad esempio, il suo intervento, benché fondamentale, non si rivela risolutivo dato che solo l’azione combinata di Yajirobei, Gohan e Crilin unita ad una buona dose di fortuna consentirà ai protagonisti di trionfare. Nella saga di Namecc Goku, benché determinante nella risoluzione delle vicende, sarà assente per svariati volumi, consentendo ad altri personaggi di guadagnarsi la ribalta con le loro strategie. Nella saga degli androidi egli svolgerà un mero ruolo di supporto mentre in quella relativa a Majin Bu riuscirà a sconfiggere il demone rosa soltanto grazie al sostegno dell’intera popolazione terrestre, di Mr Satan, dei namecciani e di Kaiohshin rendendosi inoltre poco più che il mero esecutore materiale di un piano elaborato da Vegeta.
La centralità di Goku appare dunque parziale dato che, in molti archi narrativi, il suo intervento è tutt’altro che decisivo. Perché dunque si continua ad evidenziarla e a porla come difetto? La risposta sta nell’atteggiamento degli altri personaggi che, in qualsiasi occasione, continuano a guardare al protagonista per trovare la soluzione ai propri problemi, anche quando egli non è effettivamente presente. L’assenza fisica di Goku non lo rimuove dunque dal piano degli eventi ma, al contrario, gli dona una centralità concettuale perfino maggiore.
Passando poi alla questione della caratterizzazione, prendiamo a riferimento sempre Goku; sarebbe assurdo negare che in lui vi sia un’evoluzione psicologica, dato che passa da bambino selvaggio ed ingenuo, a guerriero consapevole del proprio ruolo e dotato di una discreta capacità tattica. Egli manifesta inoltre una certa inquietudine verso il futuro, evidente nella volontà di trovare qualcuno che possa succedergli quale principale difensore della Terra, e non è esente da una sana componente egoistica, che lo allontana dallo stucchevole ideale del protagonista moralmente perfetto.
Eppure qualcosa manca; i passaggi da uno stadio all’altro della sua crescita sono appena abbozzati, così come il rapporto tra Goku e gli altri personaggi. Le sue azioni sono inoltre caratterizzate da una certa incoerenza; se infatti, con il processo di crescita, il suo rischioso egoismo cede il passo ad una presa di coscienza delle proprie responsabilità, ciò non gli impedisce di assumere atteggiamenti sconsiderati, primo tra tutti quello di affidare a due bambini inesperti il compito di affrontare Majin Bu invece di abbatterlo personalmente. Il futuro della Terra è dunque considerato, allo stesso tempo, tanto importante da richiedere una spasmodica ricerca di validi protettori, ma di così poco valore da poter essere messo a rischio con leggerezza? L’atteggiamento di Goku in tal senso, dunque, è decisamente schizofrenico.
Questa scarsa cura nell’approfondimento psicologico è ancora più evidente negli altri personaggi, le cui ragioni profonde non vengono mai davvero analizzate. Ma, in un’opera nella quale Goku rappresenta il centro indiscusso, compagni e nemici non acquistano forse senso unicamente in relazione a lui? Proprio per questo essi mantengono una psicologia semplice ed i loro cambiamenti non vengono dovutamente trattati.
Unica eccezione è rappresentata da Crilin, personaggio simbolo della debolezza umana e degli sforzi dell’individuo, non sempre coronati da successo, di combattere le proprie paure, lontanissimo dall’archetipo del guerriero valoroso ed infallibile.
Conclusione
Traendo quindi le somme, attenendoci all’elenco di pregi e difetti tracciato, potremmo definire Dragon Ball un manga discreto ma non eccelso. Esso è infatti dotato di buon ritmo, riesce a coinvolgere il lettore e ad offrire una certa varietà di situazioni, passando agilmente dall’avventura demenziale alla lotta per il destino del mondo, il tutto in una veste grafica dal tratto semplice e pulito. C’è però una grave mancanza di profondità sia per quanto riguarda i personaggi che la trama stessa, la quale, salvo alcuni momenti, risulta estremamente semplice e priva di colpi di scena o complessi intrecci narrativi.
A tale giudizio si potrebbe facilmente imputare un’eccessiva radicalità, dato che riguarda comunque un’opera che, a conti fatti, è pur sempre indirizzata ad un pubblico di età compresa tra i 10 ed i 18 anni, ma farlo non sarebbe del tutto corretto. Basta infatti passare in rassegna altri shonen per ritrovare quei caratteri che in Dragonball paiono mancare: in Naruto abbondano i personaggi dal buono spessore psicologico, in Saint Seiya i rapporti interpersonali sono resi ottimamente, così come la trama di Devilman presenta una conclusione tutt’altro che prevedibile.
Eppure questa valutazione resta ancora incompleta, poiché non tiene conto un altro fattore ugualmente decisivo: lo scopo dell’autore. Akira Toriyama, nel realizzare Dragon Ball, ha pensato volutamente ad un’opera semplice ed essenziale, simile ad una fiaba d’altri tempi, un tipo di narrazione all’interno della quale, ad essere realmente importanti, sono gli avvenimenti ed il messaggio da trasmettere, piuttosto che i caratteri dei personaggi, ed in cui il bene, alla fine, ha necessariamente il suo trionfo.
Ed in questo Dragon Ball si allontana anche dal modello, dato che sono molti i personaggi che, introdotti come “figure negative”, alla fine si uniscono ai protagonisti: per chiunque può esserci una seconda possibilità, tutti possono avere il proprio finale felice, dal demone alieno asessuato al violento e burbero principe al grasso mostro rosa distruttore di mondi. E forse è questo il vero messaggio che l’autore voleva lasciare, in un’opera che, per il resto, appare concepita più come un piacevole passatempo che come una pietra miliare della fumettistica nipponica.
In conclusione cos’è dunque Dragon Ball? Un capolavoro della semplicità, un’opera che, sebbene meno profonda di altre, riesce comunque a lasciare un segno su chi vi entra in contatto. Molti appassionati di manga si sono avvicinati a questo mondo proprio grazie a Dragon Ball, e tantissimi autori l’hanno utilizzato come punto di partenza per dar vita creazioni proprie. È dunque nella semplicità con cui riesce a trasmettere un messaggio legando il lettore ad una storia ad un tempo nuova e già vista che si trova la grandezza dell’opera di Toriyama.
Può dunque Dragon Ball, nonostante la sua vasta pletora di difetti, dei quali non bisogna mai dimenticarsi, essere considerato un mito? La risposta non può che essere affermativa.
Alessandro Ruffo