François Truffaut è uno dei maggiori registi della Nouvelle Vague, movimento nato alla fine degli anni 50 in Francia. Gli artisti della nuova generazione volevano introdurre nel cinema la quotidianità, la vita di tutti i giorni, considerata la vera bellezza durante un periodo in cui la crisi politica e la guerra fredda avevano segnato lo scontento e l’insoddisfazione generale.
I film della Nouvelle Vague, la Nuova Ondata, in effetti erano ripresi in strada, negli appartamenti, illuminati dalla luce naturale e con degli attori amatoriali o poco conosciuti dal pubblico, tutto per donare un’atmosfera realistica.
Truffaut, dall’età di tredici anni diventa un assiduo frequentatore dei cinema e dei ciné-clubs, guarda e riguarda i film fino a conoscerne i dialoghi a memoria. Inizia quindi il suo lavoro di critico con l’obiettivo di desacralizzare il “cinema di papà” con i suoi temi moralisti e universali. Le sue critiche sagaci gli aprono infatti le porte della rivista cinematografica “Cahiers du cinéma” rendendolo parte dei “Giovani turchi” della critica francese.
Il suo primo cortometraggio “Les mistons”, nonostante i dialoghi pretenziosi e gli errori a livello cinematografico, permette al giovane artista di familiarizzare con la telecamera. Scopriamo già la predilezione di Truffaut per il tema dell’infanzia che descrive come una raccolta di brutti ricordi da cui si era potuto allontanare solo quando aveva capito di non essere più un bambino.
L’infanzia infelice, in cui ogni minimo sbaglio si trasforma in tragedia, è ciò che vuole far passare ne “I 400 colpi”, il suo primo film, il cui protagonista è un ragazzino problematico che finge la morte della madre per assentarsi da scuola.
Il film è una rivelazione, conquista tutti con il suo tono grave e intenso e fa vincere a Truffaut il premio come miglior regista al Festival di Cannes del 1959.
Se il primo tema trattato è l’infanzia, il secondo è l’amore. Bisogna dire che Truffaut è un amante delle donne, un vero Don Giovanni. Sposa Jeanne Moreau ma non smette mai di sedurre le sue “muse”.
Gira così “Jules et Jim” nel 1962, il cui menage à trois provoca un enorme scandalo per l’epoca, tanto da essere vietato ai minori di 18 anni. Da allora la sua produzione si alterna tra film sull’infanzia (come “L’enfant sauvage”, “L’argent de poche” ecc) e film sull’amore (“La sirena del Mississippi”, “La femme d’à côté”, ecc).
Truffaut ci dona una sua concezione del cinema: un qualcosa che non sa spiegare ma che è indispensabile nella sua vita. Lui è parte di una nuova generazione di cineasti, coloro che volevano la possibilità di pensare al cinema senza i limiti del passato e la libertà di esprimere tutte le proprie emozioni e idee.
Ciò che mancava al cinema di quel tempo era la sincerità. Truffaut riesce a cambiare le cose servendosi di parole, espressioni e gesti per comunicare i suoi sentimenti. E, in effetti, egli non ricerca la perfezione della scena ma quella del discorso. Afferma di non poter girare film troppo distanti dalla sua realtà perché ha bisogno di identificarsi con i suoi film, ragion per cui utilizza materiale autobiografico o tratto dalla vita dei suoi amici.
Per essere fedele alla sua politica, gira “La notte americana” e, come un film in un film, racconta una storia sul suo mestiere di regista e sul suo modo di lavorare.
Nel marzo 1976 è contattato da Spielberg il quale dice di apprezzarlo per la sua semplicità e sincerità e gli chiede di recitare nel suo film “Incontri ravvicinati di terzo tipo”.
In America Truffaut è ancora più amato dal pubblico che è ancora legato al XIX secolo, il secolo dei romanzi e degli storici. Per questo motivo egli diventa un modello da seguire per la nuova generazione di cineasti americani, così come Hitchcock lo era stato per lui.
Celia Manzi