Friedrich: la natura e il divino
“Guardati dalla fredda erudizione e dal cavillare sacrilego, poiché uccidono il cuore, e quando il cuore e il sentimento sono morti, l’arte non può dimorarvi.”
Cuore, sentimento, sacralità, sono fra le principali parole-chiave del Romanticismo, quel movimento artistico di cui Friedrich fu uno dei massimi rappresentanti. Leggendo gli scritti di Friedrich si ricava l’impressione di un uomo orgoglioso, arrogante, impietoso nel giudicare il lavoro dei colleghi e l’arte del suo tempo, solitario, quasi al limite della misantropia. L’altra lato di questa innegabile scontrosità è la forza incontrollabile delle sue convinzioni, che si trasforma in un vero e proprio ideale artistico.
Caspar David Friedrich nacque il 5 settembre del 1774 a Greifswald, nella Pomerania Superiore, regione passata da più di un secolo sotto il dominio svedese, ma ancora contesa dalla Prussia, cui di fatto continuava ad appartenere da un punto di vista culturale. I genitori avevano improntato la sua educazione sui rigorosi dettami protestanti, che avranno una forte influenza sui suoi lavori, ai quali si aggiungevano gli insegnamenti del teologo Kosegarten. L’inclinazione verso l’arte si manifestò presto in Friedrich e da subito assunse i caratteri di una vera e propria chiamata, dai toni quali religiosi. Nel 1794 si iscrisse all’Accademia di Belle Arti di Copenaghen, una delle più importanti del nord Europa. Successivamente si recò a Dresda dove la sua maturazione artistica arrivò a compimento e cominciò a riscuotere successo alle mostre annuali. Oltre che dalla religione le sue opere sono fortemente influenzate dalla filosofia e dalla letteratura romantica dello Sturm und Drang, i cui tratti principali vanno ricercati nell’esaltazione del genio, nel rapporto con la natura, e nel concetto di sublime.
Le polemiche che accompagneranno uno dei suoi dipinti più famosi, “La croce sulla montagna”, un paesaggio destinato a fungere da pala d’altare nella cappella del conte Franz von Thun-Hohenstein, gli diedero notorietà. Uno dei suoi primi estimatori fu Goethe il quale amava in particolar modo la “Abbazia nel querceto”: in quest’opera Friedrich rappresentò un funerale sullo sfondo di un’architettura spettrale di un’abbazia in rovina, simbolo dell’istituzione ecclesiastica e della decadenza del suo tempo. L’opera fu acquistata da Federico Guglielmo III di Prussia, e fu proprio questo avvenimento a determinare il suo successo e il suo ingresso all’Accademia di Berlino, nonostante l’opposizione dell’ala più conservatrice dell’ambiente. Già in queste prime opere si nota l’importanza che viene data al fattore naturalistico che diviene simbolo del divino: Friedrich stabilisce un vero e proprio codice simbolico dove ad esempio l’inverno simboleggia la morte, il fuoco la fede e la nebbia l’errore umano. A questi canoni si attiene “Le bianche scogliere di Rugen”, opera realizzata probabilmente nel 1818, quando Friedrich si recò in questa località per trascorrere il suo viaggio di nozze.
Un viandante romantico
“Il viandante sul mare di nebbia” resta una delle opere più emblematiche dell’arte di Friedrich, ma anche, forse, di tutto il Romanticismo. Un viandante solitario è appena giunto in cima ad un monte, da cui domina l’intero panorama. Il paesaggio percorso dallo sguardo del protagonista assume un’intensità tale che lo rende quasi irreale, emblema dello “sehnsucht”, ovvero del cosiddetto “struggimento” dell’uomo dinanzi all’immensità della natura, tema molto caro agli artisti romantici. L’opera può essere collegata con “L’altare di Tetschen”, dove un’altra vetta è protagonista di un evento che assume portata metafisica. Ma se a quest’ultima Friedrich affida comunque un messaggio di speranza di conciliazione con la natura, nel “Viandante sul mare di nebbia” questa conciliazione diviene impossibile. In quest’opera sono presenti tutti gli elementi distintivi della cultura dell’epoca: infinito, irraggiungibile, comunione con la natura e attraverso essa con il divino, malinconia e solitudine.
La migliore definizione per il lavoro, gli ideali e la modernità di Friedrich sono le sue stesse parole: “L’arte non può avere come fine l’imitazione e una grande elaborazione limita la forza d’immaginazione dell’osservatore; il dipinto deve solo alludere, ma soprattutto stimolare lo spirito, lasciare alla fantasia un campo d’azione, e dunque il dipinto non deve porsi il fine di rappresentare la natura, ma solo di evocarla”.
Manuela Altruda