Gli Interpol sono tornati in Italia per una data unica a fine gennaio 2015 ed hanno regalato emozioni come se piovesse. La COOLtura ovviamente c’era ed è qui a raccontarlo per voi.
INTERPOL: CAMBIANO LE LETTERE, RIMANE IL CONCETTO
Dopo un breve percorso in taxi nella fredda Milano di fine gennaio, siamo arrivati al Fabrique per scoprire di essere accaldati come non mai: gli Interpol sarebbero stati di scena di lì a poche ore. L’atmosfera, elettrizzata ed elettrizzante, garantiva un’estasi musicale che in effetti si è poi realizzata.
La band newyorkese è tornata in Italia dopo quasi quattro anni di assenza; l’ultima tappa è da ricercarsi a Roma nel 2011, dopo aver aperto pochi mesi prima il concerto degli U2 allo Stadio Olimpico. In effetti, il numero quattro è ricorsivo negli ultimi Interpol: sono quattro, infatti, gli anni che separano il quarto album – Interpol, appunto – al recente El Pintor, uscito a settembre 2014. Curiosamente, i due ultimi lavori hanno lo stesso titolo – El Pintor è ovviamente l’anagramma di Interpol – ma l’aver mischiato le lettere non è cosa affatto casuale.
Un ribaltone è avvenuto nel lasso di tempo tra i suddetti dischi: Carlos Dengler, il meraviglioso bassista che ha segnato un’epoca del post-punk revival sin da Turn on the Bright Lights, è andato via; per sostituirlo, dopo aver avuto tra i turnisti del precedente tour nientepopodimenoche David Pajo, si è optato per una soluzione interna con Paul Banks a gestire lo strumento. Si tratta di un cambiamento epocale per la band; le linee di basso del buon Carlos erano fondamentali nelle dinamiche sonore, determinando esse un imprinting potente nell’ascoltatore ed allo stesso tempo essenziali per lo stile cupo ed aggressivo messo in scena dai quattro. Per l’ultimo album, pur rimanendo in piedi una sezione ritmica di tutto rispetto, si è optato per un contenuto musicale miscellaneous; meno solipsismi – che pure uniti davano vita a un qualcosa di assolutamente interiore – ma un impasto musicale più compatto e calcificato.
Insomma: cambiando gli addendi il risultato non cambia? Forse sì, ma magari no. Le lettere sono state ruotate, gli Interpol sono sempre gli stessi? Forse sì, ma magari no. C’è qualcosa di diverso, nell’aria di El Pintor, pur restando nella sostanza lo stesso gruppo che ha stregato fin dal primo momento.
UNA FABRIQUE DI BELLA MUSICA
Torniamo al Fabrique. La struttura, nuovissima e moderna, ci accoglie in maniera deliziosa con un colpo d’occhio visivo che fa venire voglia di ascoltare musica per giorni, un ambiente soffusamente underground ma allo stesso tempo adatto a grandi artisti e grandi palcoscenici.
Ad aprire la serata gli Health, in un miscuglio tra post-rock ed elettronica che sinceramente stona con l’artista principale e la platea stessa; una dissonanza molto forte dal punto di vista musicale con gli Interpol è parametro oggettivo, pur senza rientrare nei discorsi formali e fini a se stessi riguardanti il puro gradimento che, alle orecchie di chi scrive, è stato abbastanza basso. Non desideravamo certo una copia, ma una linea di pensiero comune tra chi apre e chi chiude un concerto sarebbe stata cosa assai gradita.
Le danze vere e proprie si aprono con Say Hello to the Angels, pezzone di Turn on The Bright Lights. Si prosegue tra successi commerciali – Evil, Lights, Slow Hands, Rest My Chemistry e la nuova All The Rage Back Home – e vere e proprie chicche come The Lighthouse, un momento veramente topico dell’intero concerto, capace di coronare un crescendo spirituale bissato poi nell’encore con NYC. Grande assente è Obstacle 1, defezione che non è affatto pesata in un contesto, a volte intimista, come questo di fine gennaio. El Pintor, presente con la suddetta All The Rage, Anywhere, My Blue Supreme, My Desire ed Everything is Wrong, suona divinamente in live, con quel suo diverso ma uguale che avvolge ed esalta.
In conclusione l’emozione più grande della serata con Untitled: gli Interpol terminano il concerto con la canzone di apertura del loro primo album. Finire come si inizia, terminare con un principio, unire l’alfa all’omega. Paul Banks canta sommessamente «I’ll come around, when you’re down», un sussurro d’Amore che traduce perfettamente il concetto stesso: venire incontro all’Altro, facendo collassare il proprio Io.
E con quest’inno gli Interpol salutano tra gli applausi, lasciandoci con una domanda forse banale ma dettata dalla maestosità dello spettacolo a cui abbiamo appena assistito: «a quando il prossimo?».
Alfredo Amedeo Savy