Uno degli stereotipi più diffusi sui combattenti dello Stato Islamico della Siria e dell’Iraq (ISIS o DAESH, che è l’acrostico in arabo) vuole gli jihadisti, ovvero i combattenti della jihad (guerra santa) come dei rozzi contadini tanto fanatici quanto ignoranti.
Questo stereotipo è decisamente lontano dalla realtà: in verità costoro, specialmente ai piani alti della gerarchia, spesso hanno un background di competenze e di preparazione in campo tecnologico e comunicativo di tutto rispetto, in particolar modo nel caso dei cosiddetti foreign fighters, ovvero gli jihadisti nati e cresciuti nei Paesi occidentali ed accorsi in Medio Oriente per combattere per la causa del Califfato.
Essi, in quanto spesso appartenenti alla generazione dei “nativi digitali”, hanno assorbito le tecniche di comunicazione e di uso di Internet dai loro luoghi di provenienza e li hanno messi al servizio della propaganda dell’ISIS, la quale per poter raggiungere i suoi obiettivi si appoggia ai social network e sfrutta appieno il concetto di “viralità” dei contenuti, ovvero della sua diffusione capillare su Internet grazie agli utenti.
Ma come funziona questa macchina di propaganda dell’ISIS?
Per capirlo bisogna partire dall’alto, ovvero dal governo autoproclamato che domina le regioni sotto il controllo del califfo Al-Baghdadi. Al suo interno esiste una sorta di dipartimento che controlla la grande e complessa macchina della propaganda marchiata con la bandiera nera ed il cui capo secondo gli osservatori occidentali sarebbe un ex-rapper tedesco, Denis Couspert, conosciuto in patria con il nome d’arte di Deso Dogg e nell’ambiente della jihad come Abu Talha Al-Almani (Abu Talha il tedesco) nato e cresciuto a Berlino e trasferitosi in Siria dopo la conversione all’Islam.
L’ufficio sotto la sua guida gestirebbe direttamente varie agenzie di comunicazione strutturate esattamente come le equivalenti occidentali, le cui principali sono l’Al-Furqan Media Foundation e l’Al-Hayat Media Center: la prima si occupa della produzione di materiali ad uso interno dell’ISIS e dei paesi dell’area mediorentale, mentre la seconda, creata più recentemente, produce materiale nelle principali lingue del pianeta destinato a raggiungere i potenziali jihadisti di tutto il globo.
Oltre all’ideazione, alla realizzazione ed alla distribuzione dei famigerati video, tutti di qualità professionale, realizzati con una cura al dettaglio, completi di sceneggiatura e regia ben studiate e con un target ben preciso da raggiungere, le due agenzie producono anche due riviste pubblicate in varie lingue, compreso l’inglese e il tedesco: Dabiq ed IS Report, idea tra l’altro non nuova al terrore islamico, dato che dal 2010 Al-Qaeda pubblica Inspire, la sua rivista.
Dabiq, il magazine concepito principalmente per la propaganda fuori dal Califfato, si descrive come “una rivista periodica focalizzata sui temi del tawhid (unità), manhaj (ricerca della verità), hijrah (migrazione), jihad (guerra santa) e jama’ah (comunità). Contiene anche reportage fotografici, eventi ed articoli informativi sulle questioni riguardanti lo Stato Islamico“, ed anche qui il livello dell’accuratezza dei contenuti è impressionante.
Tuttavia, a differenza di Inspire la cui “linea editoriale” è quella di incitare le cellule dormienti del terrorismo nei paesi occidentali, la rivista dell’ISIS preferisce legittimare il Califfato agli occhi dei musulmani occidentali invitandoli a trasferirsi lì per continuare la jihad.
IS Report, invece, tratta principalmente gli affari interni dell’ISIS ed è rivolto a chi già vive all’interno dei territori occupati. Se sfogliamo un numero di questa rivista troviamo articoli informativi sui seminari di studio sull’Islam, sulle scuole di formazione per Imam e sulle attività svolte dalla ormai salda struttura statale del Califfato come le forze dell’ordine o addirittura i vigilanti del controllo di qualità sui cibi, che devono essere rigorosamente halal (leciti) secondo le prescrizioni coraniche.
Oltre alle pubblicazioni editoriali, tutte facilmente scaricabili on-line in PDF e di cui potrete trovare i link per la consultazione in fondo all’articolo, le agenzie dell’ISIS controllano anche Radio Al-Bayan con sede a Mossul, in Iraq, e addirittura starebbero allestendo una emittente all-news, Khilafa Live raggiungibile in streaming su Internet.
Ma non solo: L’Huffington Post in un articolo ha rivelato di aver trovato persino un negozio online di souvenir dell’ISIS, sul quale per soli 4 sterline si possono acquistare delle magliette griffate ISIS o con slogan del calibro di “Fratellanza musulmana”, “Fanc**o Israele”, “Preghiamo per Gaza” o “Mujaheddin intorno al mondo”.
Quindi la potenza mediatica della Jihad è enorme e chi la gestisce lo fa in modo pianificato e preciso. Ma esattamente come fanno le agenzie di stampa dell’ISIS a diffondere poi il materiale che producono in modo capillare, sicuro ed anonimo?
Ci riescono grazie all’utilizzo studiato dei social network e dei meccanismi di viralità. La diffusione passa quindi innanzitutto per le centinaia di migliaia di sostenitori e simpatizzanti presenti in Rete sui principali social network come Twitter, Facebook e YouTube. Costoro diffondono e fanno circolare il materiale dell’Al-Hayat Media Center in modo capillare ma soprattutto quasi immediato, così da rendere difficile individuare per gli osservatori esterni dove e come sia partito.
La necessità dell’anonimato, tuttavia, più che alla fonte serve piuttosto all’utente finale della propaganda, ovvero ai simpatizzanti dell’ISIS presenti in tutto il mondo, Paesi occidentali compresi. Quindi, complice anche un giro di vite compiuto dai principali social network a partire da novembre contro gli account della Jihad, attualmente il grosso della rete jihadista parrebbe essersi spostata principalmente sui social “minori”, spesso situati su server situati in Paesi meno battuti dalle polizie telematiche internazionali e quindi dove il rischio di essere individuati e rintracciati dai servizi segreti occidentali è decisamente minore.
Tuttavia si suppone che la base principale dell’ISIS su Internet non sia nel web “di superficie”, ovvero quello accessibile a tutti, ma si nasconda nelle profondità abissali del cosiddetto deep web o dark web, ovvero l’Internet non indicizzato dai normali motori di ricerca ed accessibile soltanto tramite la connessione alla rete TOR, la quale garantisce il mascheramento dell’indirizzo IP degli utenti e quindi li rende completamente anonimi ed irrintracciabili.
Lì sotto, al riparo da ogni tentativo di intrusione ed identificazione, agirebbe il vero centro di controllo della rete del terrore, la quale non si limiterebbe a diffondere e distribuire la propaganda ma anche a mantenere i contatti con le cellule dormienti agli ordini del Califfato presenti in tutto il mondo, oltre a ricevere donazioni tramite i Bitcoin, la valuta elettronica che offre anonimato e irrintracciabilità delle transazioni.
Le contromisure non sono affatto facili: la diffusione così frammentata e così capillare della propaganda neutralizza qualunque tentativo di blocco da parte dei grossi siti, i quali, in particolar modo Facebook e Twitter, a causa delle loro dimensioni, hanno più volte dimostrato dei problemi a contenere e bloccare questo tipo di contenuti in modo rapido ed efficace. Cercare poi qualcosa sul deep web è a dir poco inutile, dato che la rete TOR oltre ad essere totalmente anonima non è neanche indicizzata ed i motori di ricerca sono del tutto inutili, quindi avventrarcisi senza sapere bene dove andare equivale letteralmente a brancolare nel buio.
Tuttavia esiste su Internet una forza che può opporsi efficacemente all’esercito telematico dell’ISIS: si tratta del gruppo degli Anonymous, gli hackers giustizieri del web, i quali oltre alla bravura nel campo dell’utilizzo della tecnologia hanno come indiscutibile vantaggio il muoversi al di fuori e al di sopra delle leggi e di non essere quindi legati ai lacci burocratici che possono limitare gli interventi delle polizie telematiche, e proprio in questi giorni infatti hanno aperto un attacco contro i siti, i forum e gli account degli jihadisti cercando soprattutto di individuare coloro che provengono da fuori il Califfato.
Riusciranno là dove le forze dell’ordine e di intelligence di mezzo mondo arrancano da mesi?
Giacomo Sannino
Link per scaricare tutti i numeri usciti ad oggi di Dabiq (ATTENZIONE: I CONTENUTI POTREBBERO URTARE LA VOSTRA SENSIBILITA’)
Link per la consultazione del numero 1 di Islamic State Report (grazie a Jihadology): https://azelin.files.wordpress.com/2014/06/islamic-state-of-iraq-and-al-shc481m-22islamic-state-report-122.pdf