L’allegoria della caverna di Platone apre il libro VII della Repubblica ed è quella che conclude il discorso sull’Idea del Bene; ma, per essere precisi, di cosa parla questa categoria? Siccome vogliamo semplificarci le cose, il discorso si divide in due parti:
- la prima descrive il difficile percorso che l’anima deve compiere nella sua ascesa verso il bene;
- la seconda parte narra di come l’uomo, una volta liberatosi, quando ritorna alla Caverna, dai suoi vecchi compagni, venga addirittura ucciso (un vero e proprio thriller!).
Bando alle ciance: entriamo nella Caverna di Platone.
La prigionia e la liberazione dalla Caverna di Platone
Grazie ai potenti mezzi a nostra disposizione, possiamo notare degli uomini, a sinistra, incatenati in modo tale da essere costretti a guardare il fondo della caverna; e infatti:
“(…) pensa di vedere geli uomini che vi stiano dentro fin da fanciulli, incatenati gambe e collo, sì da dover restare fermi e da poter vedere soltanto in avanti, incapaci (…) di volgere attorno il capo.”
Non lontano dall’ingresso della caverna c’è un fuoco e, tra il fuoco e gli uomini incatenati, altri uomini che, dinnanzi al muro che vedete, portano diversi tipi di oggetti; la luce del fuoco proietta le ombre di questi ultimi sul muro, davanti agli occhi dei disgraziati che non possono muoversi.
Come potete vedere, gli uomini incatenati possono solo posare gli occhi sulle ombre degli oggetti sul muro; e, siccome sono bloccati in quel modo “fin da fanciulli”, sono portati a credere che ciò che vedono corrisponda alla realtà pura e semplice. In sostanza, questi uomini scambiano le ombre per oggetti reali, senza avere idea che suddette ombre sono solo proiezioni di oggetti causate dalla luce.
Immaginiamo, adesso, che uno dei nostri incatenati si sia improvvisamente liberato e possa guardarsi intorno – come fanno i simpatici omini sulla destra: proverebbe spavento e stupore e, se gli chiedessimo che cosa vede adesso, rimarrebbe anche assai spaesato e sicuramente riterrebbe vere le ombre che vedeva prima e falsi gli oggetti che ora gli si parano davanti.
Se, poi, lo costringessimo a guardare la luce, il fuoco, proverebbe dolore agli occhi e subito tornerebbe a guardare elementi a lui più familiari; ma, poiché siamo cattivi, sadici, crudeli e infami, costringiamo l’uomo a uscire dalla caverna, mettiamolo di fronte alla luce solare:
“(…) essendo i suoi occhi abbagliati, non potrebbe vedere nemmeno una delle cose che ora sono dette vere. (…) Dovrebbe (…) abituarvisi, se vuole vedere il mondo superiore.”
L’uomo, fondamentalmente, deve sforzarsi di comprendere che, nella caverna, vedeva solo ombre fallaci, immagini oscure e poco chiare, mentre ora può contemplare
“quale veramente è il sole, non le sue immagini (…), ma il sole stesso, nella ragione che gli è propria.”
Una volta giunto a ciò, l’uomo capirà finalmente che il sole è la vera causa delle immagini che lui e i suoi compagni vedevano.
Il ritorno all’oscurità
Ora, se volete, fate una pausa e prendetevi da bere, perché dobbiamo riaccompagnare il nostro amico liberato dove si trovava prima; infatti, una volta arrivato a determinate conclusioni, proverà pietà per i suoi compagni e, se provasse a tornare nella caverna, dovrebbe abituarsi nuovamente all’oscurità come si era dovuto abituare all’intensa luce solare. E se provasse a liberare i suoi compagni? Verrebbe insultato e addirittura ucciso.
Ma qual è il vero significato di questa allegoria? Le ombre che vedono gli uomini nella caverna – uomini che, l’avrete capito, siamo noi tutti – non sono altro che le cose presenti nel mondo, imitazione delle Idee – di cui abbiamo già parlato.
Il percorso che fa l’uomo liberato è quello che fa il filosofo, che si eleva alla contemplazione dell’Idea, proprio di quella che sta a capo di tutte le altre, l’Idea di Bene – fortunato chi ci riesce; essa non è altro che il sole della nostra storia, da cui tutte le altre dipendono. E perché l’uomo che ritorna nella Caverna viene metaforicamente – speriamo per lui – ucciso?
Perché, una volta passato dalla contemplazione delle cose divine a quella delle cose umane, deve riabituarsi alla loro imperfezione; ma non ne ha il tempo, perché “viene costretto a contendere nei tribunali” discutendo di queste ombre e sull’opinione che hanno di essere coloro che non hanno mai contemplato le Idee.
Platone conclude l’allegoria della Caverna con l’invito al filosofo di rinunciare a salvarsi l’anima distaccandosi dalla massa; anzi, egli deve rischiare la propria vita per servire la cosa pubblica e il bene comune. Cosa che, di fatto, è accaduta al maestro di Platone, nientemeno che Socrate. Ma questa è un’altra storia.
Luigi Santoro
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Fonte citazioni: Platone, Repubblica, traduzione di Franco Sartori