La Conversazione è stato realizzato tra il primo e il secondo The Godfather (1972- 1974). Proprio dopo Il Padrino, Coppola sente il bisogno di girare un film di cui sarà l’unico autore.
Il film è di certo complesso, ma la regia di Coppola è di una perfezione geometrica, attenta ad ogni minimo dettaglio. Lo si nota già dalla prima scena de La conversazione: siamo in una piazza, l’occhio della macchina da presa ci impone una visuale obbligatoria: un campo lungo dall’alto sulla piazza affollata. Poi ci suggerisce pian piano i particolari: un mimo; una coppia; un intercettatore al lavoro.
Al precisarsi dell’angolo di visuale, anche i suoni prendono corpo. Ed è proprio il suono uno degli elementi principali di questo film: ci sono le composizioni strumentali di David Shire di solo pianoforte che sottolineano con eleganza il disagio del protagonista e il sound designer Walter Murch realizza un lavoro perfetto: mischia voci; effetti sonori e musica in maniera avanguardistica creando nuove sensazioni uditive di paura e disorientamento.
Nei primi 10 minuti de La conversazione l’audio risulta essere disturbato, è un fuori campo sonoro: stiamo ascoltando quello che trasmettono i microfoni direzionali degli intercettatori alle cuffie dei personaggi nascosti nel furgone.
Dalla prima scena in poi la realtà è vissuta dalla sola angolazione di Herry, il protagonista.
È un uomo solo, invisibile, che passa il tempo a spiare gli altri: «lo spione n° 1» , si autodefinisce.
È ossessionato dalla propria privacy, non si fida di nessuno (la porta con tre serrature, la scelta di utilizzare una casella di posta con la combinazione, mente sul fatto di non avere il telefono in casa). Nemmeno la donna che lo ama e che ama può avvicinarlo, inevitabilmente finirà per allontanarla perché comincia a fargli troppe domande.
Le parole di Ann, l’intercettata, saranno utilizzate come cornice sonora a un Harry disperatamente solo:
«Ogni volta che vedo un vecchietto come quello, mi viene in mente sempre la stessa cosa[…]Penso sempre che anche lui è stato un bambino. No, davvero. Penso che un giorno anche lui era il cocco di qualcuno, ha avuto un papà e una mamma che gli volevano bene, e adesso è lì: mezzo morto su una panchina. E che fine hanno fatto il papà, la mamma e tutti i parenti che aveva? Insomma, ogni volta mi vengono in mente queste cose»
È lui il vecchio. Solo e morente.
Non si sa molto di lui né del suo passato; solo in un incubo (forse sentendosi comunque protetto dalla nebbia che lo avvolge) riesce a svelare un po’ di se, un po’ dei suoi tormenti: «non ho paura della morte, ho paura dell’assassinio». Ha costruito tra sé e gli altri un muro invalicabile, che lo porterà a crearsi una sua realtà. Una realtà che si costruisce con solo le sue due uniche certezze: la tecnologia e la religione.
Si sentirà tradito e abbandonato da entrambe.
Gli viene commissionato un lavoro: intercettare la conversazione di una coppia di amanti. Per la prima volta non riesce a essere freddo e estraneo a quello che si dicono (traumatizzato da quello che gli è successo anni prima: una famiglia viene sterminata a causa di una sua intercettazione), e, girando manovelle, alterando suoni, operando un attento lavoro di copia-incolla cerca di ricostruire la realtà.
Ed è qui che la tecnologia lo tradisce.
Il risultato del suo lavoro non è la realtà, ma una realtà. Una delle tante possibili. La sua.
La verità gli resta impalpabile, fuori dalla sua portata, perché non riesce a sistemare tutti i pezzi del puzzle. Non riesce a inquadrare le cose e a collocare le persone nel giusto ruolo (Chi è il carnefice? Chi la vittima?).
È un personaggio immobile, che non riesce a uscire dai suoi schemi ed ad agire, anche quando è intenzionato a farlo decidendo di prendersi una stanza contigua a quella dove avverrà l’omicidio. Un’immobilità che forse gli è rimasta addosso dall’infanzia e che lo porta a preferire di chiudersi dentro e a estraniarsi dall’orrore che si compie nella stanza accanto.
Quando si renderà conto del suo doppio errore cade in una sorta di limbo; si sente ancora più spaesato, solo.
La tecnologia non è stata in grado di eliminare il male, cioè la solitudine, il sangue, la morte. Harry Caul nell’ultima scena si spoglia di tutto ciò che lo circonda. Si mette a nudo e sventra simbolicamente la sua stanza fino alle strutture portanti. Arriva, poi, a distruggere per ultima la statuetta della madonna: perduta la fiducia nel progresso, non c’è più nemmeno lo spazio per la fede in Dio.
«Dio è morto. Dio resta morto. E noi l’abbiamo ucciso.»
– La Gaia scienza, Nietzsche.
Cira Pinto