La crisi in Libia è ormai un argomento clou del mondo giornalistico italiano.
A poco più di 800 km dal belpaese l’ISIS è ormai una minaccia consolidata, che conquista ogni giorno sempre più terreno in Libia. Ecco quindi come sono in molti a richiedere un intervento non soltanto politico-diplomatico, ma anche militare nell’ex colonia italiana.
Ma inviare l’esercito italiano in Libia è davvero necessario? Probabilmente no. Probabilmente faremmo meglio ad occuparci delle cellule terroristiche dormienti o da poco attive presenti sul suolo italiano, così come noi, mondo occidentale, faremmo meglio a metterci una mano sulla coscienza di fronte alla nascita di nuovi califfati e alleanze tra forze locali. Eppure è inutile girarci intorno più di tanto: non guardiamo con preoccupazione alla Libia solo per una presenza sempre più massiccia dell’ISIS, ma anche per gli ingenti danni economici che tale situazione potrebbe provocare all’Italia.
Come si è arrivato a tutto questo in Libia?
Da sempre uno dei partner privilegiati del nostro Paese, il mondo libico ha rappresentato dal 1912 (anno in cui l’allora Regno d’Italia riuscì a strapparlo all’Impero Ottomano) ad oggi un punto focale dell’economia italiana, portando centinaia di italiani a partire dagli anni trenta in poi alla volta di Tripoli.
Certo, i territori desertici non erano adatti all’agricoltura, ma i migranti riuscirono ugualmente ad avviare una rivoluzione i cui frutti possono ancora oggi essere toccati con mano: soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, a partire dagli anni cinquanta, numerosi furono i trattati tra un’Italia in ripresa e una Libia da poco indipendente, con ingenti capitali italiani versati nelle casse libiche per una ricostruzione soprattutto economica del Paese.
Una scia che continuò, tra alti e bassi, anche durante la dittatura dell’ormai defunto colonnello Gheddafi, ma che portò fortuna alle aziende italiane e ingenti quantità di petrolio all’Italia. Non si può comunque negare la presenza, nell’arco di più di mezzo secolo, di escalation negative –ricordiamo l’espulsione degli italiani dalla Libia nel 1970 o le tensioni internazionali con gli Stati Uniti– che portarono Tripoli ad accalappiarsi l’ostilità di gran parte dei leader politici mondiali, ma l’Italia, proprio in virtù del ruolo ricoperto in Libia per tanti anni, si è sempre dimostrata non soltanto un valido partner economico, ma anche diplomatico.
Tale situazione ha portato, soprattutto negli anni novanta, tanta fortuna alle aziende nostrane: anzitutto si venne a creare una società italo-libica composta da aziende italiane pubbliche e private, mentre nel 1999 avvenne il colpo grosso dell’ENI. Infatti, in virtù dei giacimenti di gas presenti in Libia, venne stipulata una partnership miliardaria con l’Ente libico per l’energia, portando quindi l’Italia non solo a godere del petrolio, ma anche ad attingere il gas da una nuova riserva diversa dalla Russia.
Insomma, uno scenario abbastanza roseo, distrutto però nel 2005, anno in cui la Libia cominciò ad ostentare atteggiamenti provocatori nei confronti dell’Italia: un decennio fa, infatti, da Tripoli cominciarono ad emergere tutte le insoddisfazioni per quella che veniva ritenuta dal governo di Gheddafi una insolvenza bella e buona. Per capire il misfatto, però, è opportuno fare un salto indietro di tre anni, e più precisamente al 2002.
All’epoca il premier Silvio Berlusconi aveva tutta l’intenzione di stipulare un trattato diplomatico in modo tale da appianare una volta per tutte le divergenze che di tanto in tanto emergevano tra i due Paesi. Ecco dunque come l’Italia propose, tra le altre cose, la costruzione di una superstrada atta a collegare il nord e il sud del Paese. Nel 2005, però, la situazione era ancora in fase di stallo.
La Libia, quindi, cominciò a fare ostruzionismo: la costruzione della superstrada doveva essere una sorta di dono simbolico come risarcimento per i danni di guerra causati dall’Italia e richiesti dal lontano 1969, ma in sua assenza a rimetterci furono le aziende italiane, le quali non ottennero più i pagamenti dei crediti da parte del vecchio partner libico.
La situazione si sbloccò soltanto nel 2007 con il governo Prodi. L’Italia, infatti, promise la realizzazione della superstrada e questo portò ad una nuova apertura al dialogo, che culminò con il Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione, portando ingenti investimenti libici (pari al 90%) in Italia e la ripresa dell’operatività delle aziende nostrane in Libia.
La questione, quindi, era risolta?
Apparentemente sì, ma nel 2011, con l’insorgere della Primavera Araba, con i tumulti per rovesciare Gheddafi e con le operazioni militari Odissea all’alba (formata da una coazione anglo-franco-americana) e Unified Protector della NATO si sprofondò nel caos.
L’atteggiamento dell’Italia confuse non poco gli amici libici: se inizialmente ci fu un’azione diplomatica italiana per scongiurare il peggio e per dimostrare la solidità del trattato d’amicizia, successivamente si decise di aderire all’intervento della NATO, operazione a cui l’Italia stessa aveva auspicato.
La Libia, ovviamente, ne uscì martoriata e il belpaese si ritrovò a dover stringere nuove alleanze con i governi provvisori che si susseguirono a quello del caduto Gheddafi, senza contare poi un’economia praticamente distrutta, impianti petroliferi fortemente danneggiati e la presenza delle famiglie di antiche tribù locali che attiravano sempre più su di sé le simpatie della popolazione civile, lasciata a se stessa e senza più un briciolo di fiducia verso il mondo occidentale.
Non stupiamoci, quindi, se a quattro anni di distanza temiamo ancora una volta per i nostri interessi economici. Anche se nel dicembre del 2011 venne rinnovato con la Libia il Trattato d’amicizia, partenariato e cooperazione, è innegabile che la frattura venutasi a creare sembra ormai insanabile, con aziende nostrane costrette a chiudere in fretta e furia, operai rapiti da gruppi di ribelli, cittadini e funzionari rimpatriati con particolare urgenza e la Jihad che ormai abbraccia gran parte del territorio libico.
Giunti alla fine di questo breve viaggio, forse dovremmo pensarci due volte prima di prendere decisioni di cui potremmo pentirci in seguito.
Maria Stella Rossi
Bibliografia
A. Frusciante, G. Malgeri, P. Wulzer, F. De Lucia Lumeno, A. Crimi, a cura di M. Pizzigallo, Il ponte sul Mediterraneo. Le relazioni tra Italia e i paesi arabi rivieraschi (1989-2009), Edizioni Apes 2011.