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La neon art
La neon art è oggi una forma d’espressione sempre più utilizzata dagli artisti, e sempre più apprezzata dal pubblico, probabilmente proprio per il suo carattere diretto ed immediato, e la sua natura contemporanea e versatile. Che avvenga con frasi o parole, segni astratti o figure, l’arte ha trovato nuova luce per illuminarsi ancora.
Che ogni oggetto di uso quotidiano potesse entrare a far parte del mondo dorato dell’arte attraverso l’azione dell’artista e perdere così la sua funzione primaria, ce l’ha insegnato Duchamp con i suoi ready-made; e che anche una lampada artificiale al neon potesse quindi trasformarsi in un’opera d’arte sia per la sua consistenza fisica che luminosa è stata la scoperta di Dan Flavin, artista minimalista che è stato tra i primi negli anni ’60 ad utilizzare questo manufatto di produzione artificiale, sfruttandone le sue potenzialità espressive. Il passo era stato compiuto, il limite superato.
Tracey Emin
Tracey Emin (1963) artista britannica, associata alla generazione YBA (Young British Artist), eccentrica protagonista della scena londinese, lavora con una vasta gamma di medium artistici, tra cui il neon che ha usato sin dai primi anni ’90.
Il suo lavoro è sempre stato estremamente personale, spesso provocatorio, mirato ad avere un impatto immediato e viscerale sullo spettatore. Sono soprattutto gli eventi della sua vita il punto di partenza per la sua arte, e le opere al neon in questo caso assumono le fattezze di una confessione scritta. Sovrapponendo il tratto personale del testo scritto a mano dall’artista al freddo tubo luminoso piegato, i neon danno voce a pensieri, dichiarazioni d’amore, delusioni, insulti o intimi desideri; così come espressioni di auto rappresentazione sintetica del proprio corpo, influenzato dai dipinti di Egon Schiele. Esempi sono “Tu tocchi la mia anima” o “Io prometto di amarti”, che esclusivamente per la notte di San Valentino sono stati riprodotti in digitale e passati sui display di Time Square, NY. Un regalo dell’artista per il pubblico, il cui messaggio in quel modo poteva essere il messaggio che tutti potevano dedicare a tutti.
Jung Lee
Visioni poetiche, sono le opere della giovane Jung Lee (1972), artista che vive e lavora in Corea. Le sue istallazioni luminose trovano spazio in paesaggi solitari e deserti, su campi innevati o superfici d’acqua, dove la luce vi si riflette.
Ma le visioni non sono dirette, immediate, come facenti parti della nostra realtà, esse sono filtrate dall’immagine fotografica che le rende più distanti come favole che possiamo solo immaginare. La serie “Aporia” (difficoltà, incertezza), ispirata dalla lettura di Roland Barthes “Frammenti di un discorso amoroso”, indaga l’amore desolato, colpevole, abbandonato, nostalgico, inetto, visivamente reso nei tubi al neon modellati a formare parole o frasi come “Ricordo ancora” e “Come hai potuto farmi questo?”. Frasi che rivelano la solitudine e il dolore delle persone moderne di oggi. A guardare queste fotografie, il pubblico non sente tanto il messaggio lasciato dall’artista, quanto la propria voce interiore, il pensiero che affiora immagazzinato nella mente, un ricordo o una fantasia suggerita dall’immagine creata.
Kristin McIver
Kristin McIver (1974) invece è un’artista australiana che utilizza materiali come il neon, per creare istallazioni luminose che riproducono con singole parole o frasi, desideri e aspirazioni dell’uomo che vive nella società consumistica di oggi. Riflette su aspetti e fenomeni legati alla cultura digitale, del rapporto tra individuo e social media, e per ottenere la massima attenzione, il messaggio è veicolato proprio dal linguaggio seducente della pubblicità, luminoso e d’impatto.
Come “Tutto ciò che è solido si scioglie nell’aria”, titolo contradditorio (solo apparentemente) dell’opera che ha come oggetto la parola Tomorrow, ad indicare cioè l’accelerazione senza freni della società che rende il Domani uguale all’altro e a poco a poco inconsistente le cose e gli uomini, l’evanescenza come tratto fondamentale della nostra modernità.
Marina Borrelli