Tra i vicoli della città greco-romana e lungo uno dei simboli del risanamento novecentesco che è via Duomo, all’interno dell’area arcivescovado partenopeo, sorge l’edificio paleocristiano di San Giovanni in Fonte, probabilmente il battistero ancora esistente più antico d’Occidente. Si tratta di un edificio quadrangolare, che ospita il fonte battesimale e un raffinatissimo ciclo di mosaici di V secolo, che si eleva all’esterno dell’abside della chiesa-cappella di Santa Restituta (già originario duomo di Napoli), che a sua volta si apre sulla navata sinistra dell’attuale Duomo.
La storia di San Giovanni in Fonte
Anche se dall’avvento del Cristianesimo il rituale del battesimo si attesta con le forme e le modalità più diverse, è solo dall’editto di Costantino nel 313 d.C. che iniziano a sorgere strutture dedicate a santificare questo sacramento, dapprima a pianta centrale (come il nostro) e poi anche ottagonali (come quello fatto costruire dal vescovo Ambrogio a Milano); nell’uno e nell’altro caso, la conformazione circolare riprendeva probabilmente quelli che all’epoca imperiale erano gli edifici ideati per ospitare le spoglie dei potenti, basti pensare al mausoleo di Adriano o a quello di Augusto a Roma.
Per la datazione del battistero di San Giovanni in Fonte ci possiamo appellare a diverse testimonianze scritte tra cui le due più importanti cronache ecclesiastiche napoletane: la “Cronaca di Santa Maria del Principio” e le “ Cronache dei vescovi della chiesa napoletana”.
Entrambe riportavano nelle loro pagine le origini di un battistero; rispettivamente la prima cronaca individua nell’imperatore Costantino come fondatore dell’edificio, insieme alla prima cattedrale Stefania, mentre l’elenco dei vescovi della città di Parthenope rivela che un battistero all’interno della cittadella episcopale (intus episcopio) fu edificato sotto l’arcivescovato di Severo (362-408), Sotero (465-468) e Vincenzo (554-578). Questi dati, connessi con la datazione dei mosaici, ci fanno concludere che l’edificio principale probabilmente sia stato edificato a cavallo tra il IV e V secolo d.C., con rifacimenti e ricostruzioni posteriori.
A San Giovanni in Fonte vi si accede dalla navata destra di Santa Restituta attraverso una porta seicentesca ricavata sul lato sud dell’edificio paleocristiano; quello nord invece presenta un portico inquadrato da quattro colonne che però sembra essere di costruzione moderna e sicuramente non è l’entrata originaria. Contrariamente, le pareti est ed ovest presentano diverse modifiche ancora visibili facendo ipotizzare che proprio da uno di quei lati vi fosse l’originaria entrata.
Al centro della sala, incastonata nel moderno pavimento, si trova la vasca battesimale dove il fedele, durante il rito religioso, si immergeva completamente. Essa è giunta a noi spoglia, ma poteva essere rivestita di tessere musive oppure semplicemente e più scenograficamente, dobbiamo immaginarla piena d’acqua a riflettere il maestoso mosaico della cupola, rendendo il battesimo un percorso davvero teatrale.
La cupola ed i mosaici
Ed appunto a coprire il battistero, su di un tamburo ottagonale, è una cupola semisferica che accoglie uno dei più importanti cicli musivi paleocristiani. L’opera di cesello, tra tessere blu, verde e ed oro, presenta al centro un cielo trapunto di stelle dominato dal monogramma di Cristo affiancato dalle classiche lettere greche “α” (alfa) ed “ω” (omega), coronato dalla mano di Dio che spunta dall’alto, il tutto inscritto in una corona dorata con disegni di animali, frutta e rami di palme.
Al di sotto di questa bordatura circolare discendono dei drappeggi blu e la calotta si divide in otto spicchi, i quali raccolgono scene bibliche di cui purtroppo oggi ce ne rimangono solamente quattro: le “pie donne al sepolcro“, la “pesca miracolosa“, le “nozze di Cana” e la “traditio legis“.
Proprio quest’ultimo spaccato della Bibbia è particolarmente interessante per la scenografia che viene messa in atto dove c’è Cristo, in piedi su di una sfera azzurra che porge a Pietro, sulla sua sinistra, un rotolo con su scritto “Dominus legem dat”.
Un’iconografia molto diffusa nell’ambito paleocristiano, ma che prende il nome proprio dall’iscrizione del nostro battistero. La scena si chiudeva con la figura di Paolo alla sinistra di Gesù ora totalmente mancante.
A chiudere il palinsesto figurativo della cupola troviamo ai quattro angoli, conchiusi in concavità angolari, i simboli dei quattro evangelisti. Di essi riusciamo solo a riconoscere ancora l’Angelo (Matteo) ed il Leone (Marco), mentre il Bue (Luca) e l’Aquila (Giovanni) sono quasi o del tutto irriconoscibili.
San Giovanni in Fonte ci racconta una spaccato del ruolo di preminenza di Napoli, all’epoca snodo multietnico di popoli e religioni. Una testimonianza da riscoprire e raccontare nel ricordo delle nostre radici.
Liberato Schettino