Antonio Onorato ha girato tutto il mondo con la chitarra sulle spalle. Eppure non è un presuntuoso, anzi: in ogni parola ti insegna qualcosa, ti lascia un messaggio. Ma non è un bacchettone: Antonio Onorato è un vero e proprio maestro della musica, e in questa chiacchierata di un’oretta ve ne accorgerete di certo.
Mi accoglie nella scuola di musica dove insegna tecniche dell’improvvisazione e chitarra jazz-blues. La scuola, Musicisti Associati, è un vero e proprio forno di talenti, dove i ragazzi vengono educati alla musica in tutti i suoi aspetti. Si fanno laboratori, si fa musica d’insieme, si fanno incontri con musicisti famosi. Vedete le foto: ve ne innamorerete. Dopo un caffè e le presentazioni di routine, Antonio Onorato ci fa accomodare in una delle sale della scuola, prende la sua chitarra, se l’appoggia sulle cosce e mi dà l’ok per cominciare la nostra chiacchierata.
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Come nasce l’Antonio Onorato musicista e come nasce l’Antonio Onorato jazzista?
Sai, la passione per il jazz è venuta dopo. La prima cosa che ho cercato di fare dopo aver imparato i primi accordi è stata condividere. La musica mi ha facilitato a socializzare, a sconfiggere una certa timidezza. A dieci, undici anni avevo già formato le prime band. Cercavo d’insegnare ai miei amici a suonare la chitarra, pur di coinvolgerli. Il mio primo grande amore sono stati i Beatles. La loro scuola è stata fondamentale: mi hanno insegnato che la genialità è nella semplicità non banale. Dopo i Beatles ho cominciato a conoscere la musica rock-blues dalla fine degli anni ’60 all’inizio e metà degli anni ’70, probabilmente il periodo più florido della storia della musica. Non c’erano video dove imparare o libri da seguire, quindi io ascoltavo ore e ore Jimi Hendrix, Eric Clapton… e cercavo di riprodurre i loro assoli. Poi cominciai ad ascoltare i primi dischi di Wes Montgomery, Joe Pass… e pensavo: ma come cavolo fanno questi qua a suonare così? L’amore per il jazz, poi, coincise con il concerto al Palapartenope di Pat Metheny e lì rimasi ancora più colpito da quel sound così particolare. Un suono quasi divino. Penso proprio che in quel momento sia nato l’Antonio Onorato discepolo del jazz.
A proposito di divino: tu sei famoso per la tua vicinanza ai Nativi Americani. Da cosa proviene questa vocazione?
Io ho sempre avuto un approccio spirituale con la musica. Per me la spiritualità vuol dire libertà, ecco, vuol dire essere libero. Io poi sono stato in America, nelle loro terre. Ho incontrato anche alcuni di loro che a volte mi hanno dato spiegazioni sulla mia ‘vocazione’ verso questo popolo. Addirittura uno sciamano pellerossa mi disse che probabilmente sono la reincarnazione di uno spirito nativo americano. Inoltre sono stato in Iraq, in Africa… e ho conosciuto le persone di quei territori. Persone stupende che con la guerra non c’entrano assolutamente nulla. Persone che hanno influito sulla mia persona e sulla mia musica, ovviamente.
Tutti sanno della tua amicizia con Pino Daniele. Me ne parleresti?
Nel 1997, dopo aver pubblicato il mio terzo album, Pino mi chiamò per aprire i suoi concerti. Fu un’esperienza indimenticabile, mi diede la possibilità di farmi conoscere dal grande pubblico. Che risate ci siamo fatti insieme e quante battute… Una volta gli chiesi se stavo suonando le note giuste su un suo pezzo e lui mi disse «Antò, che ti devo dire, qualsiasi cosa tu suoni su quella chitarra esce ‘na cosa tropp’ bell’» Ha sempre dispensato, anche pubblicamente, apprezzamenti sul mio modo di suonare e sulla mia sensibilità artistica. Questo denota una grande generosità…e io non lo dimenticherò. Pensa che mi ha regalato anche una sua chitarra. Era un musicista e un poeta sublime, sempre desideroso di imparare e di migliorarsi. Era un come un bambino curioso, ecco. Come tale, a volte, però era un po’ capriccioso – come lo sono anche io d’altronde – ma certamente puro. C’era una grande stima professionale reciproca ma ancor di più c’era tanto affetto. Poi nel 2012 e nel 2013 mi ha chiamato di nuovo, questa volta per essere ospite in alcuni suoi concerti. Un onore duettare con lui, un’immensa gioia.
E del momento di crisi che la musica sta attraversando?
La musica è in crisi per davvero! Su internet basta un click per ascoltare qualche bravo musicista, ma c’è anche troppa ‘musica usa e getta’- quella che serve da sottofondo e non educa all’ascolto profondo. Il punto è che pare non ci sia più la predisposizione al nuovo; non c’è molta gente con personalità in giro. E in troppi brani commerciali manca la melodia. Poi ci sono le Tribute Band che stanno impazzando. La Musica è creazione, è arte, e – come ho detto prima – è un’arte divina. L`imitazione fine a se stessa non ci fa progredire. Eppure dovrebbero essere proprio i giovani a dare delle risposte sotto questo punto di vista, anche se, mi rendo conto che quelli bravi hanno meno possibilità di emergere, principalmente per il declino culturale in cui viviamo, vuoi per mancanza di spazi in cui esprimersi, sia per la crisi che sta attraversando l’industria discografica anche a causa di internet.
E a Napoli? Com’è la situazione? Anche sotto il profilo jazzistico, intendo.
Sinceramente non vedo molto spazio per la musica a Napoli. Dovrebbero esserci più locali di musica napoletana. Mi spiego: se vai a Rio trovi locali di Samba, in Andalusia locali di Flamenco. Oppure, se vai a Chicago andrai sicuramente in un locale blues dove si suona quella musica lì. E gli esempi sono infiniti. Pare che a Napoli questa cosa non funzioni. Non ci sono locali che si occupano della nostra musica, eppure è tra le più importanti e influenti di tutti i tempi.
Perfettamente d’accordo! Antonio, ti lascio con un’ultima domanda: stai a lavorando a qualcosa di nuovo?
Sì, a breve uscirà il mio primo album live. Pensa che in 25 anni di carriera e 23 album pubblicati non ne avevo mai registrato uno. Ma la cosa ancora più interessante sarà il mio prossimo album di inediti al quale stiamo lavorando: sarà un ritorno alle sonorità rock-blues di cui parlavamo prima. Quindi, ne vedremo sicuramente delle belle.
Alla fine della chiacchierata, io e Antonio Onorato abbiamo anche avuto il tempo di scambiare altre due parole sul mondo della musica e su quanto sia crudele. Credo che la frase che mi resterà più impressa di tutta l’intervista è proprio l’ultima che mi ha lasciato: materialmente mi basta il minimo indispensabile per vivere felice, l’importante è non fregare la musica. Non puoi fare ciò che non ti piace solo per risultare più appetibile. La musica va rispettata!
Raffaele Cars
Foto di Marianna Fioretti
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