Quando ho contattato Dario Sansone dei Foja non mi sarei mai aspettato di incontrarlo davvero. Quello che subito mi ha spiazzato è stata la sua disponibilità a farsi una chiacchierata con il sottoscritto. Gli impegni sono quello che sono, ma con uno come Dario Sansone è bastato un tavolino al centro storico, due birre e la passione comune per la musica.
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Dario, ma i Foja da dove nascono?
Io suonavo in un’altra band. Facevamo Grunge in dialetto. Fu una vera e propria sfida, ormai parliamo di dodici anni fa. Nessuno all’epoca riprendeva in mano il napoletano, invece io ci provavo. Poi fui chiamato da Gianni (Giovanni Schiattarella, attuale batterista ndr) che voleva mettere su una band con le mie canzoni. Il nostro primo album arriverà ben cinque anni dopo. Ci chiesero di inciderne uno l’anno precedente, ma non ci sentivamo pronti. Lo so, sembra strano a sentirlo, ma oggi come oggi è importante fare passi importanti quando ci si sente prontissimi.
Prima hai citato il dialetto, ma scrivere in napoletano è stata più una scelta o una necessità?
Decisamente più una necessità. Mi sembrava il modo più sincero di esprimere tutte le mie emozioni. Poi il napoletano si presta molto a questo sound. Alcune parole del nostro dialetto hanno una capacità di sintesi che altre lingue non hanno.
Da questa risposta capisco che Napoli ti ha donato tante cose belle, tanta ispirazione, ma è stata anche “invadente” nei confronti del vostro percorso musicale?
Sai, Napoli è così parte integrante di me e del mio modo di scrivere che una risposta non te la so dare. Napoli a volte si autoghettizza. E anche quando andiamo fuori ce ne accorgiamo. La gente di altre regioni canta le nostre canzoni come se facessero parte della loro cultura. Perché la musica è così, è un messaggio internazionale. Certo, la cultura nobile napoletana dobbiamo tenercela stretta e provare a rinnovarla. In ambito artistico secondo me le possibilità Napoli te le crea. Simm’ nuje che siamo lamentosi. Noi all’inizio abbiamo suonato dappertutto, questo perché pensavamo di avere qualcosa da dire. Noi musicisti di Napoli dobbiamo mettercela tutta per cambiare questa mentalità che il “mazzo” ce l’hanno solo gli altri.
Quando ti metti a lavorare non devi pensare a dove sono i limiti, devi pensare solo a come scavalcarli.
La band è formata da Dario Sansone (autore dei testi, voce e chitarra), Ennio Frongillo (chitarra), Giovanni Schiattarella (batteria) e Giuliano Falcone (basso).
E credi che la musica italiana, soprattutto nell’Underground, stia lavorando per superarli ‘sti limiti?
Conosco molto bene la piazza di Roma e di Milano, e stanno uscendo fuori molte cose positive. A parte loro, anche Napoli ha tantissimo da dire. Inoltre sta tornando un uso della lingua preponderante.
Quindi credi ci siano le basi per un nuovo Neapolitan Power?
Questo odore io lo sento e sono tra quelli che sta spingendo affinché non si disperda. Bisogna montare una scena di persone che non si vogliono fare le scarpe, che non ci tengono ad apparire migliori di altre. A Napoli non ci sono e non ci devono essere rivalità.
E invece per voi la gavetta, quella vera, com’è stata?
La cosa bella è suonare le nostre canzoni. Certo, alle volte è stata dura, ma eravamo tanto contenti di cantare le nostre canzoni che non ci pensavamo. A volte ricordo quasi con nostalgia quando andavamo in un locale e nessuno conosceva le nostre canzoni, e dovevamo conquistarlo con ogni singola nota. In ogni caso si doveva fare! I bambini quando nascono mica sanno già camminare? Hanno a cadé, devono rialzarsi, e poi cadere di nuovo.
La nostra chiacchierata è quasi giunta al termine ormai, ma sono curioso di strappargli qualche curiosità su un nuovo possibile album.
Nuovi pezzi ce li ho, ma per ora siamo in giro a suonare. E poi noi lavoriamo tutti, e questa forse è un’altra cosa che ci mantiene con i piedi per terra. Su una sono cosa sicuro: sono curioso d scoprire i nuovi pezzi che scriverò, il sound che l’album potrebbe avere.
Ah, quindi dobbiamo aspettarci un nuovo sound nel vostro prossimo lavoro?
Certamente! Deve esserlo, diverso. Altrimenti finisce il gioco, e la musica è proprio questo: un divertimento.
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Raffaele Cars
Foto di Marianna Fioretti