Per il Dizionario Etimologico Storico Napoletano è il titolo dell’incontro di studî tenutosi sabato 28 febbraio 2015, presso la Società Napoletana di Storia Patria in Castel Nuovo (Maschio Angioino). Il convegno ha presentato alla città le ricerche sul dialetto napoletano antico e moderno che sono state condotte, negli ultimi anni, presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università Federico II.
In apertura, la professoressa Renata De Lorenzo, Presidente della Società Napoletana di Storia Patria, ha evidenziato come la complessa (e necessariamente lunga) compilazione in prospettiva storica ed etimologica di un dizionario del napoletano rappresenterà, una volta messa a punto, uno strumento di ineludibile rilievo nell’ambito della storia della lingua italiana.
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Dialetto e identità
A seguire, l’accorato intervento di Maurizio De Giovanni dal titolo evocativo Fame d’identità, in cui lo scrittore, partendo dallo stato di cattiva salute in cui versa attualmente la vita culturale cittadina, ha individuato proprio nella riscoperta della letteratura e della lingua napoletane una via privilegiata attraverso cui procedere alla rifondazione del valore di cittadinanza: il Dizionario, quindi, come possibilità per il popolo napoletano di reperimento delle proprie radici.
Per l’Assessore alla Cultura del Comune di Napoli Nino Daniele, la crisi dell’identità partenopea è da inserirsi nel più generale discorso della globalizzazione che, omologando le culture, appiattisce le soggettività; il rinvenimento dell’orgoglio di appartenenza a una specifica comunità deve però rifuggire da fondamentalismi, separatismi e cristallizzazioni.
Lingua o dialetto?
Nicola De Blasi, ordinario di Storia della Lingua italiana e Accademico corrispondente dell’Accademia della Crusca, ha sgombrato il campo dai tradizionali equivoci in cui si cade quando si parla di napoletano. Prima di tutto, la questione che vede contrapposti lingua e dialetto (negli ultimi mesi, web e giornali hanno gelosamente reclamato la qualifica per il napoletano di lingua e non di dialetto, secondo una mal interpretata affermazione dell’UNESCO e in base a un’ingiustificata visione spregiativa del concetto di dialetto rispetto a quello di lingua) può esser risolta in tal modo: l’italiano è un dialetto (il fiorentino) che ha fatto carriera, divenendo lingua di validità nazionale; pertanto, il napoletano è da intendersi come dialetto per una motivazione quantitativa più che qualitativa, in quanto linguaggio di uso limitato rispetto al contesto territoriale della penisola.
Ancora, le problematiche relative all’instabile grafia del napoletano, sebbene centrali per l’elaborazione di edizioni critiche necessarie per la stesura stessa del Dizionario Etimologico Storico Napoletano, non devono divenire oggetto di controversia tra gli studiosi della materia, i quali devono semmai volgersi a uno studio storico-etimologico del napoletano.
Francesco Montuori, docente di Dialettologia italiana, ha specificato che il lavoro che s’intende produrre, inquadrandosi non come dizionario d’uso ma come studio inserito in prospettiva storica, debba necessariamente basarsi su testi disomogenei per genere e datazione; e inoltre che, per garantire la massima esaustività, ci si sia attenuti a un criterio di massima inclusività, che ha portato a confrontarsi con fonti anche non propriamente napoletane ma campane, soprattutto per le fasi cronologicamente più alte (prima del ‘500).
Il napoletano oggi
Pietro Maturi, ricercatore di Linguistica italiana con cattedra presso il Dipartimento di Scienze Sociali, si è soffermato ad analizzare l’evoluzione del dialetto napoletano nella realtà contemporanea. In primo luogo, nel corso del Novecento, la dimensione sociale dei parlanti in napoletano si è fortemente evoluta, vedendo la borghesia aprirsi maggiormente all’italiano e limitare il ricorso al dialetto, il cui uso sopravvive invece nello strato popolare; sul piano spaziale, il dialetto si conserva oggi di più in periferia e in provincia che non nel centro cittadino, invertendo la tradizionale spinta centrifuga (che vedeva in passato per l’hinterland il dialetto di Napoli centro come il modello a cui omologarsi) e producendo un movimento centripeto, con la città che assorbe le sollecitazioni provenienti dai comuni confinanti.
Il napoletano dai Quartieri a Pianura
Emma Milano, ricercatore in Linguistica generale con cattedra, ha esposto i risultati di un’indagine sui rapporti tra italiano e dialetto nell’uso linguistico degli artigiani dei Quartieri Spagnoli, area cittadina che, pur definibile come riserva dialettale per la conservazione del napoletano nella sua varietà plebea, risulta comunque non del tutto estranea a un’apertura non disprezzabile all’italiano, spiegabile soprattutto per la vicinanza alla Via Toledo, tradizionale arteria dello shopping cittadino.
Adriana Cascone, dottore di ricerca, ha analizzato il napoletano parlato nell’area suburbana di Soccavo e di Pianura, quartieri che si presentano come lacerti di campagna a poca distanza da zone ad alta urbanizzazione; e così, spogliando il lessico specialistico dell’agricoltura, si scopre che chiagnere, riferito alla vite, assume l’accezione di trasudare, in relazione all’emissione di liquido che caratterizza la pianta in caso di ritardo nella potatura.
Un Dante napoletano?
Andrea Mazzucchi, docente di Filologia italiana, ha messo in evidenza come anche le chiose e i commenti alla Commedia di Dante prodotti in età angioina da copisti di area campana possano rappresentare una fonte per la compilazione del Dizionario Etimologico Storico Napoletano. È il caso, ad esempio, dell’Expositione sopra l’Inferno di Guglielmo Maramauro, in cui compare la prima attestazione del termine pastiera; delle chiose del codice filippino della Biblioteca Oratoriana dei Girolamini, in cui curiosamente la lumaccia di Inf. XXV, 132 presenta la glossa maruzza e le schianze della scabbia hanno la postilla cozzeche, denunciando la provenienza napoletana del commentatore, così come nel caso del glossatore anonimo nel manoscritto M 676 di New York, il quale intende nel senso di duro il tosto dantesco (Inf. XII, 66) e chiosa con arrovogliata l’aggettivo ‘nviluppata (Inf. X, 96).
Dal Quattrocento al Seicento
Chiara De Caprio, ricercatore di Linguistica italiana con cattedra, ha indagato la lingua della Napoli aragonese, soffermandosi su testi prodotti in ambito non letterario (Pontano, Sannazaro etc.) ma cronachistico (Ferraiuolo, Notar Giacomo etc.); si tratta di materiali d’archivio, verbali, tesauri di tradizioni cittadine, raccolti da appartenenti al ceto medio del seggio del Popolo e che offrono soprattutto una miniera di tecnicismi burocratico-amministrativi e militari.
Carolina Stromboli, dottore di ricerca, ha relazionato sulle caratteristiche linguistiche de Lo cunto de li cunti di Giovan Battista Basile, testo del quale ella stessa ha curato una recente edizione critica (Salerno editrice); le parole massicce e chiantute del padre della letteratura napoletana veicolano un dialetto barocco che si sviluppa per accumuli, che passa in rassegna tutte le varianti, da quella bassa e triviale a quella aulica, e che presenta una creatività lessicale che predilige composti e alterati.
Dal Settecento al Novecento
Cristiana Di Bonito ha presentato il proprio lavoro di tesi (laurea magistrale in Filologia Moderna), che l’ha impegnata nella messa a punto dell’edizione critica de ‘O voto. Scene popolari napoletane in tre atti di Salvatore Di Giacomo, autore assai studiato come poeta, meno come drammaturgo; la relazione ha affrontato i problemi relativi alla presenza di una mano estranea allo stesso autore presente nella tradizione manoscritta del testo teatrale.
Lucrezia Girardi, dottore di ricerca, ha illustrato i risultati emersi dall’indagine condotta sulla lingua di Raffaele Viviani a partire dallo spoglio delle opere teatrali dello Stabiese; lo studio ha dimostrato che il lessico vivianeo, da sempre ritenuto napoletano autentico perché realistico, non è molto distante da quello eduardiano, tradizionalmente valutato come inautentico perché espressione non del popolo ma della borghesia napoletana.
Giovanni Maddaloni, scrittore e dottore di ricerca, ha evidenziato la necessità di elaborare un’edizione critica e un glossario della opere teatrali del borghese Eduardo Scarpetta, di cui lo stesso Maddaloni ha recentemente pubblicato Nu zio ciuccio e nu nepote scemo (Marchese editore), commedia giovanile del creatore di Sciosciammocca, rielaborazione de Il finto medico di Francesco Cerlone.
Eduardo
In conclusione, Patricia Bianchi, docente di Storia della Lingua italiana, si è soffermata a presentare la figura di Eduardo De Filippo a partire da una nuova prospettiva di studî, rappresentata, ad esempio, dal volume Eduardo. Dizionario dei personaggi (Osanna edizioni), che analizza l’onomastica nelle commedie del drammaturgo novecentesco, e poi dal progetto Scrittori per Eduardo, raccolta di testi teatrali e narrativi di ventuno autori elaborati a partire da tematiche eduardiane, quali Presepi e fantasmi, Da Rituccia a Filumena, Voci di magia.
Un Dizionario Etimologico Storico Napoletano come riscoperta dell’identità cittadina, come strumento filologico-linguistico di alto profilo; un dizionario che possa servire anche a evitare che nella versione inglese del best-seller Gomorra si traduca paranza (gruppo di camorristi) con trawler, cioè peschereccio, con evidente errore nella scelta delle possibili accezioni a cui il termine napoletano si presta.
Carmine Caruso