Le dichiarazioni del ministro del Lavoro Giuliano Poletti, in occasione del convegno sui fondi europei e il futuro dei giovani promosso dalla Regione Toscana, si sono meritate l’attenzione mediatica e le prime pagine di tutti i quotidiani. Il ministro ha affermato che tre mesi di vacanze estive per gli studenti sono troppi, ne basterebbe uno, massimo uno e mezzo e, in ogni caso, uno dei tre che la legge ora prevede dovrebbe essere utilizzato per la cosiddetta formazione.
Insistendo sul più stretto rapporto che dovrebbe esistere tra istruzione e lavoro, Poletti ha affermato:
“Non troverei niente di strano se un ragazzo lavorasse tre o quattro ore al giorno per un periodo preciso durante l’estate, anziché stare solo in giro per le strade“
ottenendo l’applauso di tutti i partecipanti del convegno. Le dichiarazioni del ministro hanno suscitato la risposta dell’Unione degli studenti, la quale, attraverso il suo coordinatore Danilo Lampis, ha tenuto a ribadire che le dichiarazioni di Poletti “sono allucinanti“.
Se gli studenti non hanno per nulla apprezzato le dichiarazioni del ministro, le sue parole sono state condivise dal governo, che ha anche precisato che il rapporto tra lavoro e istruzione è uno dei punti cardini della riforma scolastica “La buona scuola“.
“La buona scuola” secondo il governo
“La buona scuola” di Renzi e Giannini, ministro dell’Istruzione, è stata approvata dal Consiglio dei Ministri riunitisi il 12 Marzo, e, se passerà il voto di Camera e Senato, porterà dei notevolissimi cambiamenti al sistema scolastico italiano già dall’anno prossimo.
Il rapporto lavoro-scuola è l’undicesimo punto del progetto, argomentato su dodici livelli e prevede l’alternanza Scuola-Lavoro obbligatoria negli ultimi 3 anni degli istituti tecnici e professionali per almeno 200 ore l’anno, estensione dell’impresa didattica e potenziamento delle esperienze di apprendistato sperimentale.
Questo è uno dei punti che ha fatto più storcere il naso all’interno del mondo scolastico, soprattutto se si considera che il dodicesimo punto de “La buona scuola” prevede l’ entrata del privato nella scuola, attraverso incentivi fiscali e semplificazioni burocratiche. Ovviamente questo comporta l’ingresso dell’azienda, del singolo, della banca, all’interno dell’organo decisionale della scuola, il Consiglio d’Istituto, e, soprattutto, un’enorme disparità tra le scuole che riceveranno i finanziamenti e quelle che, essendo meno blasonate e considerate meno efficienti, non riceveranno questi contributi.
Altro punto cardine de “La buona scuola” che ha fomentato la protesta di studenti e professori, è il nuovo ruolo che assumerà il Dirigente Scolastico e il maggior peso che esso avrà nell’economia e nella gestione delle risorse e dei docenti. Saranno i presidi, infatti, a decidere quelli che “coordinano le attività di innovazione didattica, la valutazione o l’orientamento e premiarne, anche economicamente, l’impegno”. Questo comporterà una lotta interna alla scuola, mettendo i colleghi gli uni contro gli altri per un aumento in busta paga, con il dirigente scolastico che avrà un ruolo fondamentale anche per le nuove assunzioni dell’istituto.
I primi tre punti de “La buona scuola” insistono sulla questione dei precari, le supplenze e l’ingresso nel mondo dell’insegnamento; il premier ha affermato che, grazie a “La buona scuola“, sarà possibile l’assunzione di 150.000 precari, divisa, probabilmente, in 50.000 assunzioni nel Settembre 2015 e 70.000 nel 2016 e la chiusura delle graduatorie ad esaurimento, che da anni custodiscono centinaia di migliaia di disoccupati.
Il problema, però , esiste, ed è anche grave: la riforma assegnerà le cattedre a coloro che non hanno mai insegnato, e non darà il tanto sognato posto fisso a coloro che svolgono il ruolo di supplenti da anni: si tratta di precari che non sono riusciti ad inserirsi nelle liste provinciali a causa della trasformazione della graduatoria nel 2006 e che sono reclutati dalle graduatorie di istituto, per un totale di circa 20.000 insegnanti.
I 150.000 mila precari che verranno assunti, infatti, sono coloro che sono inseriti nelle graduatorie ad esaurimento o coloro che sono ancora inclusi nelle graduatorie dei concorsi ancora validi. Si realizzerebbe dunque il sogno di quelli che non sono mai riusciti a mettere piede in una scuola, ma questo lascerebbe fuori migliaia di precari inseriti nella seconda fascia delle graduatorie d’istituto, che hanno invece insegnato per mesi e, in alcuni casi, anche per anni.
Infine, le agevolazioni previste per chi sceglie le scuole private è l’ultimo che citiamo dei numerosi motivi della protesta che si è scatenata in piazza per evitare la concretizzazione de “La buona scuola” in legge. Tale detrazione, infatti, costerebbe alle casse dello Stato circa mezzo miliardo di euro. E intanto, le scuole pubbliche, crollano.
Emilio Dinacci